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60 la poesia cavalleresca

dere: — Qui è il mio merito: di aver fatta la caricatura del poema, di aver iniziato un movimento importante nelle lettere (ultimato da Ariosto, da Rabelais, da Cervantes) e di aver cooperato a distruggere l’epopea del Medio evo — . Ma Pulci non avea coscienza del suo lavoro, ed aveva le opinioni dei suoi critici. Quindi, terminando il poema, recita il confiteor, protestandosi assai contento ove venga accolto

                         tra faggi e tra bifulci
Che non disprezzin le muse del Pulci,
e sperando che un altro venga e compia le sue idee.

Che c’era da fare dopo il Pulci? Da ritener questa ironia del Medio evo e sollevarla a coscienza; e da elevar questo fondo ironico a perfezione di forma, sufficiente perché ne uscisse un lavoro artistico durabile. Giacché, chi fa un lavoro comico, non è esentato dalle condizioni serie dell’arte. La forma è necessaria tanto pel serio quanto pel ridicolo. Un pittore greco, concepito l’ideale d’una brutta vecchiaccia, la ritrasse con tanto studio e verità che, vistola sulla tela, si pose a ridere così sconciamente da scoppiarne. Non avete il dritto di trascurar la forma e di dire; — Fo un abbozzo — : ci vuole la medesima perfezione artistica ovvero il lavoro rimane un abbozzo senza polpa.

Mentre il manoscritto del Pulci girava, sorgevano in Italia due poeti che si sforzavano di risolvere il problema non indovinato dal Pulci: Francesco Bello e Matteo Maria Boiardo. Francesco Bello, più conosciuto sotto il nome del Cieco da Ferrara, ha pubblicato prima del Boiardo il suo poema intitolato Mambriano, oggi perfettamente obliato per la sua lingua barbara, per l’arido stile e l’insulso racconto. Il suo protagonista è il pagano Mambriano: non era questo il modo di rendere popolare un libro fra cristiani. Se avesse preceduto il Pulci, meriterebbe di esser citato come punto di partenza; essendogli posteriore, non ha importanza alcuna.

Ma, frattanto, un altro, con maggior merito e serietà, imprese un poema epico e ne fece lo scopo della propria vita.