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iii. il «morgante» 45

d’una balena, vi vivessero per mesi. E pare che da questa caricatura della forza fisica abbia Rabelais preso l’idea di Pantagruel, il quale allaga con una orinata il campo nemico e fa da ombrello al suo esercito con la lingua lunga due miglia. Rabelais, passeggiando su quella lingua, entra nella bocca e nella gola di Pantagruel e vi trova montagne, pianure, città.

Alla forza fisica succede l’audacia, di cui la millanteria è la parte comica; ché l’audacia, accompagnata da una giusta coscienza delle proprie forze e del loro limite, è cosa seria, e si chiama orgoglio. Ma, quando non è accompagnata dalla coscienza del limite, si chiama vanità e millanteria. Quando il forte si vanta del suo vigore come se fosse tutto, si vanta di far più di quel che possa.

Pulci ha fatto di Morgante un millantatore. Una volta, fatta una gran bravura in presenza di Orlando, gli dice: — Se potessi andare nell’Inferno, scoderei Minos, farei un sorso di Flegetonte, un boccone di Flegias — . Oltre dell’esser ridicolmente forte e millantatore, Morgante è un uomo di taverna, un buon compagnone, che si abbandona spesso al suo buon umore ed ha bisogno di far ridere e di chi lo faccia ridere, con motti equivoci e bassi, doppi sensi di pessimo gusto. L’autore ha ben saputo ricavare quanto più ridicolo poteva da quella sua prontezza e subitaneità.

Morgante è un uomo mascherato sicché dal serio n’esca il grottesco, ma ha qualità degne, bonarietà e lealtà. Non mena pugni che provocato; ben trattato, è buono e credulo, è un grosso fanciullone, ha qualità che ritengono il comico ad una certa altezza. Un altro personaggio rappresenta il comico al di sotto di Morgante.

Il Pulci non ha saputo mai mettere in iscena bene i suoi personaggi; tranne Margutte, che il lettore indovina al primo apparire.0

     Giunto Morgante un dì sur un crocicchio.
Uscito d’una valle e d’un gran bosco.
Vide venir di lunge per ispicchio
Un uom che in volto parea tutto fosco.