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28 la poesia cavalleresca
     Non in pergamo adunque, non in panca
Riprendi il peccatori ma quando siedi
Ne la tua cameretta, s’e’ pur manca.
Salite colassú col piombo a’ piedi;
La fede mia come la tua è bianca;
E farotti vantaggio anche due Credi.
Predicate e spianate l’Evangelio
Colla dottrina del vostro Aurelio.
     E se alcun susurrone è che v’imbocchi,
Palpate come Toma, vi ricordo,
E giudicate alle man, non agli occhi.
Come dice la favola del tordo;
E non sia ignun piú ardito che mi tocchi,
Ch’io toccherò poi forse un monacordo,
Ch’io troverò la solfa e’ suoi vestigi;
Io dico tanto a’ neri, quanto a’ bigi.
     Vostri argomenti e vostri sillogismi.
Tanti maestri, tanti bacalari.
Non faranno con loica o sofismi,
Ch’alfin sien dolci i miei lupini amari.


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V’ho parlato nell’ultima lezione di un lato accessorio del poema del Pulci: del lato religioso; ora entreremo nell’essenza propria del poema.

V’è un dramma di Shakespeare che s’intitola: Molto chiasso per niente (Much ado about nothing), e questo titolo basta a spiegarvi il concetto comico del dramma. Quando le cause e gli effetti sono posti in una razionale concatenazione, allora l’ordito è serio: l’ordito, non il racconto, giacché il racconto può essere ridicolo intrinsecamente anche con una seria tessitura. Ma quando c’è disproporzione fra le cause e gli effetti, nasce prepotente il riso, non dalla natura dei fatti, ma dal modo con cui sono orditi.

Uno degli effetti comici di cui Voltaire ha fatto maggior uso, è il mostrar come da cause minime e futili sgorghino effetti importanti: questo è l’effetto comico de’ fatti, l’ironia della vita.