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v. l’«orlando furioso» i5i


Termina la sua Storia con un gemito. L’Ariosto meno sentimentale manda un grido d’allegrezza: si sente le spalle più leggere. Qui sentiamo l’uomo e prendiamo interesse. Sentiamo l’uomo che ha terminato il suo lavoro.

Un uomo, sepolto in un simile lavoro per tanti anni, non appartiene al mondo. Si considera separato dal mondo reale, come un viaggiatore che ritorna, che rientra fra contemporanei. Ritorna sopra una piccioletta barca, i suoi amici gli muovono incontro sul lido, è in cospetto della sua Ferrara che temeva di non mai rivedere.

Tutti corrono sul lido per incontrare il loro glorioso cittadino e salutarlo con grida. È una delle più amene, più fantastiche e più vere scene del poema:

     Or, se mi mostra la mia carta il vero,
Non è lontano a discoprirsi il porto;
Si che nel lito i voti scioglier spero
A chi nel mar per tanta via m’ha scorto;
Ove, o di non tornar col legno intero
O d’errar sempre, ebbi giá il viso smorto,
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
Veggo la terra e veggo il lito aperto.
     Sento venir per allegrezza un tuono,
Che fremer l’aria e rimbombar fa Tonde;
Odo di squille, odo di trombe un suono
Che l’alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
Questi ch’empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s’allegrino ch’io sia
Venuto a fin di cosí lunga via.

Sono le due più belle ottave di questa immaginazione. Ha raccolti sul lido tutti i piú illustri italiani del tempo; è un turibolo pieno d’incenso agitato in favore di tutta quella gente, di tanti vermi. Perché possiate sentire come tanti, che oggi sono grandi, domani saranno ignoti, sentite i giudizi dell’Ariosto. Mette insieme Cappello, affatto ignoto, e Bembo; mette in fascio Pico della Mirandola e un Pio, che nessuno conosce.