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i36 | la poesia cavalleresca |
Clorinda. I due guerrieri si riposano, e Tancredi si rallegra di vedere il nemico più offeso. Una tremenda apostrofe del poeta lo interrompe:
Oh nostra folle Mente ch’ogn’aura di fortuna estolle! Misero, di che godi? oh quanto mesti Fiano i trionfi ed infelice il vanto!... |
Simile a questo è il primo movimento poetico rappresentato in Orlando, quando si sdraia tutto contento sull’erba:
Giunse ad un rivo che parea cristallo, Nelle cui sponde un bel pratel fioria, Di nativo color vago e dipinto, E di molti e belli arbori distinto. |
Non si mescola subiettivamente all’azione, apostrofando Tancredi. Mentre sta li tutto abbandonato vede delle lettere negli alberi di mano di Angelica. Corre a guardare, e legge: «Angelica e Medoro», e la seconda impressione è il dubitare che sia scrittura di Angelica: sarà un’altra Angelica!
Va col pensier cercando in mille modi Non creder quel ch’ai suo dispetto crede: Ch’altra Angelica sia creder si sforza. Ch’abbia scritto il suo nome in quella scorza. |
Poi, convinto che sia carattere d’Angelica, s’immagina di esser finto col nome di Medoro:
Finger questo Medoro ella si puote: Forse che a me questo cognome mette. |
Perché non crede a questo? S’alza in piedi, e dimentica il riposo; l’autore lo paragona ad un uccello invischiato:
Come l’incauto augel, che si ritrova In ragna o in visco aver dato di petto, Quanto piú batte l’ale e piú si prova Di disbrigar, piú vi si lega stretto. |