Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/91


la scuola al vico bisi 85

province, al Marchese non parea di stare in casa sua, tra gente familiare, e usava un po’ più di riserbo nei modi e nelle parole. Anche la mia presenza gli faceva una certa impressione, perché io gli stavo a lato teso e duro, con la faccia oscura e severa, e non ridevo mai; i suoi scherzi e i suoi motteggi cadevano freddi in mezzo a una gioventù che la mia imperturbabilità teneva in soggezione. La scuola prese presto un’aria magistrale, e fu smesso quel tono di familiarità scherzevole, che piaceva tanto in casa del Marchese. Non c’era ancora comunione spirituale tra maestro e discepoli; e quell’aria magistrale portava facilmente seco non so che di grave e pedantesco, che in certi intervalli ti toglieva ogni elasticità di pensiero, e la noia ti possedeva. Quel mercoledì era il giorno dello sbadiglio; era quella stessa scuola di Basilio Puoti, ma senza genialità, senza sale: la veste era pur quella, ma lo spirito era altro. Il Marchese ci stava a disagio; io parlavo poco, con un’aria fredda, che pareva alterigia ed era timidezza. Talora venivano alcuni dei più provetti suoi discepoli, e questi pigliavano la mano e dottoreggiavano e animavano la scuola. Sorgevano dispute, e ci si metteva l’amor proprio; gli Anziani volevano mostrare la loro superiorità; gli altri li ribattevano, e non se la lasciavano fare; il Marchese balzava fuori col suo naturale, le fronti si spianavano e le ore passavano rapide.

Lunedì e venerdì ero solo io, e la scuola prendeva un’altr’aria. Mutolo e timido quando il Marchese stava lí, allora mi sentiva io, e mi metteva tra quelle panche a confabulare, a interrogare, a spiegare; e presto giunsi ad affiatarmi con quei giovani quasi tutti della mia età. Quando s’era fatto numero, salivo su di una cattedra e dettavo grammatica; poi mi mettevo a tavolino tra un cerchio dei giovani più attenti e si faceva la lettura. Col mio fare monotono e severo c’era da morir di noia; ma tant’era la mia vivacità, e la novità delle cose, che presto vivemmo tutti insieme entro quegli studi, e non udivi batter sillaba, e la scuola pareva una chiesa di quacqueri. Ciascuna lezione spremeva il miglior sugo del mio cervello. Io mi ci preparavo per bene, e tutto il di non facevo che pensare alla lezione,