Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/87


il collegio militare 81

alunni delle altre classi si affollavano all’ingresso, e volevano sentire anche loro. Lasciai pure quei temi soliti di composizione simili a quei testi insulsi di lettura che si usavano nelle scuole, e che facevano «spensare» Vittorio Alfieri, e seccavano tutti quanti. I miei temi erano letterine o fatterelli, di rado descrizioni, e sempre cavati da cose note e facili. Il difficile, il raro, il complicato, l’epigrammatico, l’indovinello mi è stato sempre antipatico. I più svelti facevano di bei lavoretti. Io soleva staccare periodi buoni o cattivi, e li fissava li sulla lavagna, e ne faceva tema d’interrogazione: ciascuno stava teso a domandar la parola, a fare la sua osservazione. La mia lezione divenne così popolare che i più grandi, quelli dell’ultimo anno, desiderarono ch’io li esercitassi nello scrivere, e io lo feci ben volentieri.

Così le cose andavano nel Collegio mica male, con soddisfazione mia e dei miei alunni. Scendendo di là, mi andavo a chiudere nel Caffè del Gigante, dove usavano negozianti stranieri, posto nelle sale terrene del palazzo del principe Leopoldo (Borbone). Erano quattro o cinque stanze ben larghe e ben pulite, cosa rara in Napoli, dove spesso il caffè non è che una stanza sola. Vi si beveva un caffè buono, del quale io era ghiotto. Ma ciò che mi tirava là erano i giornali francesi. C’erano 11 il Siècle, i Débats; c’erano anche, pe’ negozianti inglesi, il Times, il Morning Post. Scrivevo e pronunziavo il francese poco bene, ma l’intendeva benissimo, e leggevo in un baleno. Trovai nei Débats le tornate della Camera dei deputati e del Senato. Mi ci gittai sopra con avidità. Quella lettura divenne per me come una malattia, che mi si era appiccicata addosso: non potevo starne senza. La domenica, che non c’era tornata, mi sentivo infelice. I miei eroi erano Molé, Guizot, Berryer, Montalembert; ma il mio beniamino era Thiers. La sua Storia della rivoluzione francese mi aveva ubbriacato; quel suo dire didattico e insinuante mi rapiva. C’era nella sua maniera non so che di maestro di scuola, un voler spiegar le cose, senz’aria però di pedagogo, anzi facendosi piccino per meglio conquistare i suoi uditori. Sentivo in lui confusamente qualche cosa che rispondeva alla mia

natura. Il mio genio mi tirava sempre all’opposizione, alla

6 — De Sanctis, Memorie - i.