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la crisi 47

carro! — si urlava. Passava il carro dei principi reali, sfarzosamente addobbato. Mi feci largo a gomitate, imprecando contro quel gentame che mi chiudeva il passo. L’onda mi gettò verso il carro, e non solo mi venne addosso una pioggia di confetti duri come pietre, ma mi toccò una frustata da uno staffiere che mi respinse indietro. Stavo come naufrago quando mi ripescò un tale D’Amore, e mi sorresse e mi tenne sotto il braccio. Questo D’Amore era figlio d’un cantiniere, e lui faceva il signorino, ed era mio compagno alla scuola del Puoti. — Che diavol ti porta qui? — Maledetto paese e maledetto carnevale! — diss’io. — Volevo andarmene tutto solo a bere un po’ d’aria verso Capodimonte. — E pensi tu solo di farti via? Ti farò la via io, e verrò con te — . Così a furia di spintoni giungemmo verso lo Spirito Santo, presso la farmacia Marra. C’era gran calca; uno spingersi innanzi e indietro, come un mare furioso. Si vedeva in lontananzi il carro dei principi reali, fermato a battagliare con i balconi. Molti vetri rotti erano testimonii del suo passaggio. Il carro si avvicinava lentamente; il polverio accecava gli occhi; gli urli e i fischi intronavano la testa. D’Amore disse: — Non si può passare; andiamo qua su, che sono amici miei — . E mi tirò per una porticina su in una camera.

Era ivi la casa del farmacista; un balcone stava spalancato; vidi signore che scappavano nelle altre stanze. Fiutai un cattivo vento e tirai per l’abito D’Amore, dissi: — Andiamo via — . Saltavamo le scale, quando ci vennero di faccia alcuni gendarmi, che ci presero per il collo e ci tennero fermi, noi gridando e protestando invano. Scesero poi tra gendarmi alcuni giovinastri con le mani infarinate, e tra percosse e pugni pure strepitavano e minacciavano. Fummo messi in fila a due a due e menati per Toledo. Bello spettacolo! Io stavo come un asino in mezzo ai suoni; non ci capivo nulla. Toccai un vicino, e dissi: — Cosa è stato? — E mi narrò che, passando il carro dei principi, le maschere a furia di confetti avevano rotto i vetri al balcone, sfregiando signori e signore. Ora alcuni giovinotti per far vendetta apparecchiarono della calce, e quando il carro ripassò sotto al balcone, ve la gettarono tutta con parole e con