Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/52

46 la giovinezza

tedesco, alto della persona, con la faccia rubiconda e sazia, di modi schietti. — Chi è questo signor Durelli? Non so nulla io — . Allora gli parlai dei miei studi, e che sapevo scriver lettere, e che avevo una calligrafia non cattiva. Egli m’interruppe, e mi guardò fiso e disse: — Ma non c’è nessuna persona che prenda cura di lei? — Io con gli occhi in aria risposi: — Si; c’è lo zio. — E dunque? — Innanzi a quel dunque rimasi di stucco, come tocco da un fulmine. Non balbettai neppure. Vedendomi a testa bassa e muto, mi volse le spalle indicando l’uscio. L’usciere voleva il regalo, e io gli posi in mano quelle poche grana che mi trovai, e lui crollando il capo e protendendo le labbra, mi chiamò un pezzente, un calabrese. Anche questo. Camminai in fretta, come uomo inseguito. M’ero preparato un cosí bel discorso; tante belle cose c’erano a dire a quel signore; come non gli diss’io che lo zio era ammalato, e che toccava a me l’aver cura di lui? Ero scoraggiato; mi pareva che tutti mi guardassero e mi facessero le beffe. Mi guardai bene di dirne motto in casa. Continuai taciturno a portare il basto, e sognavo i trenta carlini del nuovo mese.

Un giorno, uscito appena di casa, incontrai zia Marianna. — Come sta lo zio?— Come volete che stia? — rispos’io. Avevo la faccia di un crocifisso; e andai oltre, studiando il passo per non mancare a non so quale appuntamento. La zia sali in casa, e voltò la mia frase in quell’altra: — Zio sta peggio — ; e riempi la casa di lamentazioni. Lo zio si turbò. Aveva la mente indebolita e lacrimava spesso. Quando io fui tornato, mi chiamò a sé. Si fece cerchio intorno al letto, e zio con l’aria di un giudice m’interrogò: — Come ti pare ch’io stia in salute? — Volsi in aria gli occhi smarriti, e dissi: — Molto meglio, mi pare, sarete presto guarito — . Andai via come un accusato; mi sentivo involto in un’atmosfera ostile, e non sapevo perché, e talora dava la colpa a me, e mi facevo un esame di coscienza, e mi promettevo d’essere più cauto.

Un giorno non ne potevo più; giacevo sotto la croce. Era carnevale. A me quei divertimenti chiassosi non garbavano. Uscii verso le tre pomeridiane, assetato di aria e di solitudine. Scesi in piazza della Carità. C’era un diavoleto. — Il carro! il