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28 la giovinezza


Il di appresso facemmo un’uscita in campagna. C’era Costantino, e c’erano le tre sorelle Consolazio, e parecchi compagni. Andammo a piedi, coi contadini che ci portavano il pranzo. Il luogo di convegno era detto Selvapiano. La donna non mi faceva ancora impressione, fanciullescamente dava qualche pizzicotto. Chiacchieravo molto, soprattutto di libri e di scuola, ciò che annoiava molto le donne, alle quali piaceva piú Giovannino, meno novizio di me. Costantino si pose sotto il braccio Vincenzina, la più grande delle sorelle, e la tirava e diceva barzellette, ridendo goffamente. Giovannino faceva il sentimentale con Mariangiola, e le stava all’orecchio con aria di gran mistero, e lei si faceva rossa. Or questo non potevo io tollerare. Volevano per forza ch’io stessi con Gennarina; ma io la trovava insipida, e voleva stare con Mariangiola, e la tirava a me e pretendeva che stesse a sentire non so che sonetto. Costantino si pose in mezzo e mi sgridò.— Vattene al diavolo col tuo sonetto, — disse. — Tu sei più piccino, e devi stare con la Gennarina. Mariangiola è di Giovannino.— Cosi io scontento e stizzito chinai il capo e mi avvelenarono la scampagnata.

VII

L’ABATE GARZIA

L’anno appresso si disputò in famiglia, a quale scuola di Dritto dovevamo andare. La scuola più riputata era quella di don Niccola Gigli. Ma c’era troppa folla di giovani, e zio preferì mandarci a studiare presso un vecchio frate secolarizzato, e suo conoscente, un tal Garzia. La scuola era in via Porta Medina in una stanza piccola e sudicia, ed eravamo appena una ventina. Il frate aveva in capo un grosso berretto di pelo, e abito e camicia erano sporchi di tabacco; era tutto macchiato e sordido. Straniero a ogni movimento d’idee moderno, stava li come un avanzo dimenticato della Scolastica. Il suo scrittore più recente era Volfio, che aveva disciplinato Leibnizio, diceva lui: ciò ch’io non volevo sentire. Uomo alla mano e sciolto d’ogni forma con-