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la scuola 161

Ma l’abate l’interrompeva con certe mosse di stupore: — Come! Ma lei non sa che questa è una regola rettorica! Questa è una ipotiposi. Ma questo nel linguaggio di chi studia si chiama un’amplificazione — . E sghignazzava e si dondolava, facendo: ah! ah!, come per affogare le risate nel riso suo. Lo spettacolo era nuovo e voleva una correzione. Feci d’occhio a Francesco Corabi li in prima fila, ch’era stato serio e prendeva delle note. Costui era un ingegno secco di stretta logica e di analisi fine, acuto come un coltello e stringente come una tenaglia. Ghermí il povero abate e ne fece un cencio. Ben tentava qualche interruzione, ma lui non gli dava il tempo, e lo incalzava, e in breve il ritroso abate si vide tirato a tale altezza che gli mancò l’aria e gli cascò il capo tra le mani. Io usai parole dolci per consolarlo e fargli animo. L’abate presuntuoso si fece piccino piccino, e come in fondo era un brav’omo, divenne un buon compagno e un buono scolare, e se non fece miracoli, imparò almeno a scrivere naturalmente.

La scuola era venuta a quel punto che Proudhon chiamerebbe anarchia. Era una piccola società abbandonata a se stessa, senza regolamenti, senza disciplina, senza autorità di comando, mossa dal sentimento del dovere, da stima e da rispetto reciproco, da quello ch’io chiamavo sentimento di dignità personale. Ci eravamo educati insieme. Io avevo per quei giovani un culto, sentivo con desiderio le loro osservazioni e i loro pareri, studiavo le loro impressioni. Godevo tanto a vedermeli intorno con quei gesti vivaci, con quelle facce soddisfatte! Essi guardavano in me il loro amico e il loro coetaneo, e mi amavano perché sentivano di essere amati. Io avevo il loro entusiasmo giovanile, i loro ideali, e, se in loro c’era una parte del mio cervello, da loro veniva a me una fresc’aura di vita e d’ispirazione. Senza di loro mi sentivo nel buio, essi erano lo sprone che mi teneva vivo l’intelletto e lo riempiva di luce. Scrissi nell’album di una signora: «Desiderando di piacere a qualcuno, tu piaci a te stesso e ti senti felice». Patria, libertà, umanità, tutti i più alti ideali che mi brillavano innanzi, si compendiavano in quest’uno: piacere alla scuola; e li erano la mia espansione, la mia felicità.

ii — De Sanctis, Memorie - i.