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122 la giovinezza

brigata di amici. Avevo appena voltato a destra, quando udii un pissi pissi. E una vecchia mi porse una carta, e via. Era un bigliettino profumato, che lessi al lume di un lampione. Diceva che lei era stata ammalata dalla collera, e ch’io m’era portato male, e che voleva vedermi, e mi dava posta per domenica alla stessa ora e nello stesso luogo. Fui allegro. Quei giorni mi parvero lunghissimi. Lei non si lasciava vedere, e io diceva: «Poverina! è malata». La domenica non promisi a zio Peppe di passeggiare con lui, volevo esser libero. La trovai li, tra l’erbe; mi venne incontro mogia mogia, malinconica. L’avrei abbracciata, se non fosse stata via pubblica. Lei mi si mise sotto il braccio senza cerimonie, e mi contò la sua storiella di quei giorni, e io le contai la mia. Tra vezzi e rimbrotti, mi tirava seco come un fanciullo; e mi menò per una svolta, in un bel pratello erboso e fiorito, dov’erano di grosse pietre muscose, come sedili fatti apposta per noi. — Fa caldo, — disse lei, — sono stanca; sediamo qui — . Io la guardava; non l’aveva mai vista così bene. Aveva un bel cappellino che ombreggiava un visetto grazioso; era una simpatica creatura. Quel suo riso mi ammaliava, e ci aveva messo dentro non so che malinconia piena di dolcezza. Vivi sudori mi scorrevano sulla fronte, e lei si cavò di tasca un fazzoletto odoroso, e me li asciugava, accostando il viso; e io mi trovai con la bocca sulla sua fronte, e le labbra mi tremavano. Stupito della mia temerità, e turbato, mi levai. Ella mi segui, facendo un «oh!». Mi gittai a terra, raccattando la sua scarpina, che le si era sciolta dalla gola. Gliela porsi; ma lei mise la mano indietro, dicendo: — Non vuoi legarmela tu? — Mi avvicinai a quella gola, ma non ci vedevo, e le mani s’imbrogliavano, timorose di toccare il nudo della carne. E lei rideva, rideva d’un riso birichino, e s’aggiustò la sciarpa.

La passeggiata fu così lunga ch’io potei mostrarle le dorate nubi e la candida luna e le luccicanti stelle, e m’ingolfai in quella contemplazione. — Vedi là, — disse lei, — quella stella che luce più — . E in tuono di vezzosa caricatura modulava:

Quant’è bella chella stella,
Ch’è la primma a comparò.