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118 la giovinezza

nano alla Madonna dei Sette Dolori, e volsi a dritta e infilai la via di San Martino. Salgo e salgo; avevo il fiato grosso e mi fermai alla terza rampa, dove era un bel giardino, convegno di gente allegra che andava li a fare baldoria. Mi si apriva innanzi la vista di mezza Napoli: case addossate a case, di mezzo a cui spiccavano cupole e campanili. Alzai il capo, e non mi parve mai così bello quel vivo, limpido azzurro del cielo. Mi ricordai che, nella mia adolescenza, di li appunto avevo mirato, tra gran folla, uno dei primi palloni che in Napoli si fossero alzati a spettacolo, e la zia mi tirava per la mano e diceva: — Vedi, vedi il pallone, è lì — ; e mi indicava col dito, e io ficcavo gli occhi tra le nuvole e non vedevo niente, e mi arrabbiavo, e zia diceva: — Cosa ci vuoi fare? sei miope — . Era la prima volta che sentivo parlare della mia miopia. Quella ricordanza se ne trasse appresso molte altre, ché quella era la via solita dei miei trastulli coi cugini e coi compagni. In quel giardino facevamo le nostre merenduole, e andavamo a mangiare le troianelle, i dolci fichi così cari ai napoletani. Pensando a quella innocenza di vita, mi parve una follia quel correr dietro a una donna, e il cuore mi disse: — Torna, torna, ché zio Peppe ti aspetta — . Rifeci un po’ i miei passi, sospeso tra il si e il no, e l’occhio errava distratto tra quella infinità biancheggiante di case, e li vedevo lei e non potevo cavarmela dinanzi, e mi sentivo mormorare all’orecchio quel suo: — Verrai? — . Mi fermai, pensando a quel mio , e che ella era li e m’attendeva, e la bella figura ch’io farei: «Dirà per lo meno ch’io sono un bullone». Salivo già, tra questi pensieri, e mi trovai su quell’ampia pianura erbosa ch’è alle spalle di Sant’Elmo. Guardavo e non vedevo nessuno, e mi venne il pensiero che la bricconcella si fosse voluta pigliare gioco di me. — Tanto meglio, — dissi, e feci per tornare, pensando a zio Peppe, quando la vidi sbucare di mezzo alle erbe, che mi parve una ninfa. — Ciccillo, — fece ella, e mi tese la mano. Io la guardai, stupito. — Conoscete il mio nome? — Sicuro! ti ho inteso tante volte chiamare da zio Peppe con quella sua vociona. — E conoscete pure zio Peppe? — fec’io, e la guardava trasognato.