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102 la giovinezza

mi contristò assai. Non mi pareva vero di non dover più incontrare per via quel giovinotto gaio e spigliato, che ammiccava di qua e di là le ragazze, e, vedendomi, diceva subito: — Come stai? Io sto benissimo.

Il fatto è ch’io era malato per davvero, malato di esaurimento, o, come si direbbe oggi, di anemia. Me ne fece avvertito una ragazzotta robusta come una contadina, con la quale talora ci vedevamo sopra un terrazzino a pianterreno, che metteva nella sua casa. Era conoscenza vecchia, e ci trattavamo alla buona e senza malizia. Ella mi diceva spesso che i miei occhi erano amorosi, e io non capiva e non rispondeva a tuono. La famiglia si riuniva sopra quel terrazzino per sollazzo, e si facevano parecchi giuochi. Un di giocavamo a chi alzasse una sedia con sola una mano. Lei la ghermiva e la slanciava subito in aria; io mi ci scorticava la mano, la levava a gran fatica, e il braccio si piegava, e più ci poneva forza e meno mi riusciva di tenerla alta, ché il braccio mi tremava sotto. La bricconcella se la rideva, e mi mostrava il suo braccio rotondo e rubicondo, e guardando al mio, diceva: — Il sangue non ci arriva — . La sentivo con ammirazione. Poi guardai e vidi che il mio braccio era esile e pallido, e presi l’abitudine di strofinarmi i polsi con la mano per farci venire il sangue. A scuola ero un altro. Giovane tra giovani, esaltato in me stesso, là regnava il cervello, e il cervello straviveva. Nessuno, vedendomi così vivace e acceso, avrebbe pensato ch’io fossi infermo; pure quella scuola si portava via una parte di me. Ventura fu che l’anno volgeva al suo termine, e io potei rinfrancare le forze in Sorrento.

Capitai in casa di una buona contadina, piuttosto agiata, che aveva una figliuola unica, grandetta e belloccia. La mamma nel dopo pranzo la lasciava con me, e passavo le ore accanto a lei, sedia a sedia, sopra un terrazzino coperto, onde si vedeva un bel cielo azzurro e il tranquillo mare. In altri tempi avrei fatto il poeta, e cavate fantasie graziose dalla luna, dalle stelle e dalle nuvole. Ma ora non mi veniva niente alla lingua, e stavo le ore intere a mirarla, e facevo il Consalvo, timido innanzi alla Divinità, e aspettava una parola da lei, e lei da me, e nessuno par-