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292 | giacomo leopardi |
Quello che molti imputano a difetto, è la gloria di Leopardi, la compiuta trasformazione dell’universale. Se in Leopardi ci è un nuovo sguardo gittato sul mondo, la vita rinnovata perché guardata da un altro punto di vista, è che tutto questo è riflesso della sua persona, emerge dal suo intimo. Ciò fa della concezione non un pensiero filosofico, ma una vera base poetica, e rende interessante ciò che sarebbe pensiero comune e di dubbio valore come filosofia.
Ecco perché nel Sogno troviamo la storia personale di Leopardi; ed appunto perciò che vi si riflettono i suoi dolori e le sue illusioni, riesce interessante. Eppure c’è qualcosa che dice che quella non è storia particolare, e che quella giovane non è più la figlia del cocchiere di Recanati, ma la voce del vero, la voce di Leopardi quando concepiva a quel modo quel mondo. Quando la giovane dice:
Vano è saper quel che natura asconde |
è una morta, che parla; ma quella è la voce del vero. E quando dice:
Nel fior degli anni estinta, |
in quelle parole traluce il pensiero di Leopardi senza che cessino di essere le parole della donna amata da lui, e che si abbandona talvolta all’oblio; non l’oblio di Leopardi, perché, quando si lascia toccare la mano, ella è soave ma triste, comprendendo nel povero amante gl’impeti della carne. E quando dice:
Io di pietade avara |
e poi:
Non far querela |