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Quello che molti imputano a difetto, è la gloria di Leopardi, la compiuta trasformazione dell’universale. Se in Leopardi ci è un nuovo sguardo gittato sul mondo, la vita rinnovata perché guardata da un altro punto di vista, è che tutto questo è riflesso della sua persona, emerge dal suo intimo. Ciò fa della concezione non un pensiero filosofico, ma una vera base poetica, e rende interessante ciò che sarebbe pensiero comune e di dubbio valore come filosofia.

Ecco perché nel Sogno troviamo la storia personale di Leopardi; ed appunto perciò che vi si riflettono i suoi dolori e le sue illusioni, riesce interessante. Eppure c’è qualcosa che dice che quella non è storia particolare, e che quella giovane non è più la figlia del cocchiere di Recanati, ma la voce del vero, la voce di Leopardi quando concepiva a quel modo quel mondo. Quando la giovane dice:

Vano è saper quel che natura asconde
Agl’inesperti della vita...,

è una morta, che parla; ma quella è la voce del vero. E quando dice:


                Nel fior degli anni estinta,
Quand’è il viver piú dolce, e pria che il core
Certo si renda com’è tutta indarno
L’umana speme,

in quelle parole traluce il pensiero di Leopardi senza che cessino di essere le parole della donna amata da lui, e che si abbandona talvolta all’oblio; non l’oblio di Leopardi, perché, quando si lascia toccare la mano, ella è soave ma triste, comprendendo nel povero amante gl’impeti della carne. E quando dice:


                Io di pietade avara
Non ti fui mentre vissi;

e poi:

                Non far querela
Di questa infelicissima fanciulla.