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che in tutti questi casi l’arte rimane sempre un semplice ornamento, un accessorio; e la sostanza è nel ragionamento dialogico, cioè nello sviluppo del concetto per via dei contrarii.

Prendiamo il Fisico e il Metafisico. Non sono due uomini, ma due forme di concepire, il Fisico guarda alla grossa, sta ai sensi e alle apparenze, e dice del Metafisico che guarda pel sottile. Il concetto è questo: che la vita vacua, cioè a dire senza azione e senza affezione, è durare, non vivere, e vale meglio la morte. E si dimostra meno per sé stesso che per la vanità del concetto opposto, secondo il quale la vita si misura dalla sua durata e non dalla quantità degli atti e delle sensazioni. Il Fisico desidera il quanto; il Metafisico desidera il quale.

Se nel Metafisico sentissimo l’atroce sentimento che Leopardi avea della noia, o se nel Fisico sentissimo il ridicolo dell’opinione volgare, l’arte avrebbe qui un gran posto. Ma l’autore, come s’è visto, era in quello stato apatico, che non lo disponeva al riso e non gli consentiva il pianto. Non ci è dell’arte che la superficie, una forma piana e semplice, che la dimostrazione del concetto rende accessibile e piacevole. Se l’opposizione avesse qualche serietà, ci sarebbe maggiore interesse, com’è nel Plotino, dove il pro e il contro si movono come un dramma in seno allo stesso concetto. Ma qui l’opposizione è apparente, e il Fisico non ci sta se non per dare occasione di parlare al Metafisico, il quale poco gli bada, e prende l’infilata e se la discorre tutto solo. Del dialogo ci è l’apparenza, non la sostanza.

Qui Leopardi ha dirimpetto l’opinione volgare. Nel Timandro ed Eleandro dirimpetto a lui è la filosofia contemporanea, che teneva per dogma il progresso della stirpe umana, vale a dire proprio l’opposto di quello che egli credeva. La quale opinione è messa in bocca di Timandro, che non è un filosofo, né uomo d’intelligenza elevata, anzi non esce dal comune, e ti snocciola quella filosofia come imparata nelle scuole o su pei giornali, riuscendo di troppo inferiore ad Eleandro, sotto al quale nome si cela lo stesso Leopardi.

Incalzato e messo alle strette, Timandro non risponde se non mutando questione, e porge così il destro ad Eleandro di esau-