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Ora dopo tutto questo lavoro critico che noi abbiamo fatto, non potendo esaminare tutti i personaggi del romanzo, ne sceglieremo uno per vedere come egli vive nel lavoro del Manzoni, e prenderemo appunto il Don Abbondio, e ne faremo oggetto della ventura lezione.
Lezione XIII. [La forma dei «Promessi Sposi» - Don Abbondio]. — Correzioni al giornale:
Ecco il resoconto di questa lezione nella redazione pubblicata sull’Era Novella del 9 maggio 1872:
Siamo giunti, o signori, al più alto punto della forma artistica, al genio; forma tanto elevata e così inerente al fenomeno oscuro della vita artistica (perché anche l’estetica ha la sua parte oscura), che nel principio coloro che hanno osservato quel fenomeno lo hanno fatto derivare da qualche ragione miracolosa, e lo chiamarono l’ispirazione, che è appunto il fenomeno che essi non potevano spiegare, e che secondo loro veniva dal di fuori, e da qualche cosa di divino; e come i sacerdoti erano ispirati dall’oracolo, i poeti si sentivano agitati da tale divinità. Or noi abbiamo mostrato in che consiste questo fenomeno, quando abbiamo detto ch’esso consiste nel genio, ch’è l’attitudine e la volontà di realizzare la concezione artistica. Abbiamo detto pure che l’ingegno si riferisce all’intelletto, ed il genio alla volontà; quel genio derivante da una forza superiore, che cerca manifestarsi, e che quando questa forza non c’è, rimane velleità; poiché è falso che volere è potere, ma potere è volere, perché colui che vuole senza la forza del potere, senza la forza del genio, non può darvi che noiose creazioni artistiche, ed ampollose: l’artista produrrà sempre a seconda il grado della forza artistica ch’egli ha.