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nota 399

pio. Un giovane sente che il tale per il suo sapere dovea essere scelto in un concorso, ed intanto è preferito un tal altro per certi legami di partito, d’influenza e che so io; quel giovane allora scintilla di sdegno e grida che il mondo è corrotto. Ma supponete che vada ad un uomo esperto nelle cose della vita, e questi facendogli una carezza, gli dirà che quo’ sentimenti l’onorano, ma gli soggiungerà di certo: — Mio caro, sono gli accidenti soliti della vita, com’è costituita — . Simile a quella dell’uomo esperto è la posizione del Manzoni di rincontro alla vita; egli sorride perché la capisce, e perché la capisce egli la scusa, poiché l’intelligenza, o signori, è tollerante.

Quando dunque noi abbiamo questa posizione, quale sarà la forma della concezione manzoniana, sarà forse l’illusione? forse il disinganno? Mai no, perché l’autore ebbe troppi disinganni per illudersi, o per indegnarsi contro la corruzione del secolo. La forma dunque sarà l’ironia, forma propria delle creazioni manzoniane; quell’ironia come l’ha Leopardi, come l’ha il Goethe, come tutti i grandi scrittori moderni. Dessa è la caricatura che fa l’intelligenza messa di rincontro alla ignoranza del mondo; è la caricatura di chi ha molta esperienza a chi non n’ebbe mai; è la caricatura che l’avvenire fa al passato.

Ogni volta che si hanno questi contrapposti, quel dire «io ti conosco» si traduce in un tal risolino, e questo risolino ripeto è l’ironia. Ma quando un uomo sta in questa posizione, quand’egli con l’arte ha creato un mondo, al quale con un sogghigno dice: — Io ti comprendo, perché io ti ho creato— .quale sarà il carattere dell’ideale? Sarà il carattere indeciso dell’illusione, ed inesperto del disinganno? Sarà la misura dell’ideale misurato dall’esperienza della vita: quindi vanno fuori tutti i tipi esagerati; perché tutti sentono un poco de’ difetti della terra; l’ideale acquista un limite, e Manzoni si distingue appunto per il sentimento della misura.

Quando noi consideriamo un mondo come concetto, siccome esso non è sottoposto alle leggi storiche,- e per sua natura è illimitato, noi procediamo innanzi senza andare in cerca di quelle tali limitazioni che vengono da’ fatti. E quando lo scrittore considera quel mondo come obbietto, allora il suo ideale perde l’illusione ed acquista limite dalla realtà dei fatti. Abbiamo però due specie di poeti, poeti subbiettivi, e poeti obbiettivi; i primi che vedono il mondo come concetto, e camminano fino alla più sfrenata illusione; e gli altri, che rispettando il fatto, ricevono il limite dalle condizioni di esso, perché lo comprendono. Il Manzoni dunque fa sentire l’ironia nel suo mondo, perché ha la misura dell’ideale, e perché egli considera il mondo come obbietto,- onde la forma di quello sarà la rappresentazione obbiettiva, che è il mondo plastico veduto dal di fuori.

Per esempio, noi diciamo Omero obbiettivo, perché ivi è il mondo greco tutto impressioni, considerato tutto al di fuori; e diciamo Virgilio