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384 nota
p. 243 r. 31: «il predicatore che fa citazioni», R: «il predicatore che ha citazioni» (abbiamo corretto tenendo presente l ’Era Novella: «Lì non ci avete il predicatore che fa le sue citazioni latine»).

        Ecco il resoconto di questa lezione nella redazione pubblicata sull’Era Novella del 18-19 aprile 1872:

Signori,

abbiamo visto nel Manzoni due forze poderose per un artista, un sentimento vivo del mondo ideale o poetico, ed un sentimento vivo del mondo storico, ossia del mondo positivo: forze viventi, inconciliate, l’una dirimpetto all’altra, e l’una fuori dell’altra. Abbiamo visto con qual criterio Manzoni cerca conciliarle, facendo dell’una istrumento dell’altra, servendosi dell’ideale per illustrare il mondo storico. Ed abbiamo visto pure come l’artista si è ribellato al critico, perché l’ideale non penetrò in questo mondo positivo, non divenne azione, non acquistò sviluppo: egli nel fatto storico rimase lirico, e il dramma rimase inno, coro e canto della morte.

Manzoni ora lascia il dramma per il mondo storico che è il secolo XVI, e sono le stesse le idee con le quali fece gl’inni e le tragedie, e quelle ch’egli vagheggia quando scrive il romanzo. Che cosa infatti vuol fare il Manzoni se non superare la medesima difficoltà, ch’egli voleva superare nel dramma, servirsi cioè dell’ideale per illustrare il secolo XVI? Noi dunque innanzi tutto esamineremo qual è questo ideale che Manzoni vuol rendere drammatico nel suo romanzo, e come lo ha ottenuto.

Il mondo ideale del Manzoni nel romanzo de’ Promessi Sposi è quello istesso che, quand’egli più tardi di artista divenne critico, espose nella Morale Cattolica. In essa vi è il germe delle concezioni e delle situazioni del suo romanzo, con la differenza che in essa voi vedete come ragione quello che nel romanzo è rappresentato come azione e come passione.

Cos’è dunque quell’ideale?

Dopo il 1821 quando i liberali furono sconfitti, ed il dispotismo appoggiato alle baionette austriache riprese il dominio che aveva perduto sull’Italia, quel partito si sciolse, ed alcuni andarono nella Svizzera come il Sismondi, il quale romantico come Manzoni, scriveva egli pure nel Conciliatore, sostenendo le medesime dottrine di lui. Il Sismondi dunque andato a Ginevra portò nel suo cuore il culto e l’amore d’Italia, che gliene dovrebbe esser grata. Quivi egli scrisse la Storia delle repubbliche italiane. Lo scopo di questa storia è di dimostrare che le istituzioni politiche non sono indifferenti a formare il carattere nazionale, e che però se l’Italia fu potente nel medio evo, lo fu perché le istituzioni politiche le erano a seconda.