Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/187


vi. «il conte di carmagnola» 181

sopprimendo quasi del tutto i discorsi. Ma, ripeto, nulla rende cosí fredda la rappresentazione come i discorsi: allora si ha ciò che dicesi la «stagnazione», sorge la disattenzione, la noia, la quale si sente anche nella lettura di uno di quelli. Spesso la s’interrompe, sorgendo il desiderio di correre a vedere che cosa vien dopo. Per l’eccellenza della poesia la lettura di que’ discorsi del Carmagnola ci rapisce, ma nella rappresentazione ci sono finezze che sfuggono allo spettatore. Come volete che egli, quando si narra l’assalto di Verona, colga i fatti narrati, invece di averli sott’occhio? Egli prende le cose all’ingrosso, perché per colpirlo c’è d’uopo presentargli qualche cosa che operi, si muova.

Nel Conte di Carmagnola dunque, la maggior parte è narrazione, vi sono discorsi più che azione. E vi è una curiosa singolarità. Manzoni vuol darci un dramma storico, e non si accorge che strozza il conflitto drammatico in un solo atto, riempiendo il rimanente di discorsi; il che se mantiene la parte, diciam così, «materiale» della storia, falsifica, fraintende la parte spirituale di essa. Nel secolo XIX un dramma pieno di discorsi e soliloquii è concepibile, perché è un secolo in cui si discorre più che non si operi: essendo l’intelligenza molto sviluppata, noi siamo avvezzi a ripiegarci su noi, c’è dell’Amleto nel nostro secolo. Ma nel Medio Evo la vita era tutta al di fuori, e quei capitani di ventura erano tutt’azione; e non c’era molto sviluppo d’intelligenza. Questi discorsi nel Carmagnola sono un anacronismo storico: il ripiegarsi dello spirito in se stesso è proprio dell’uomo moderno.

Quando Marco è obbligato a sottoscrivere un foglio e ad impegnarsi di non avvertire il Conte amico suo, fa un lungo soliloquio e sottili considerazioni. Egli si domanda: — Fo bene o male? Che cosa farò? Avvertirò l’amico? Ma così infrango il giuramento! Non infrango il giuramento? E sono un perfido amico — . Infine, come una canna in balìa del vento, perde la volontà e dice: — Si segua il destino! — . Accusa del suo operato il destino, il quale non è altro che la sua codardia morale, battezzata con quel nome, e lo segue maledicendo la sua patria che l’ha messo in quella situazione. Egli dice: