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178 ricordi di parigi.


-dandomi curiosamente, come se il mio viso avesse qualche cosa di strano; mi fece passare per un corridoio, spinse leggermente il battente d’una porta e mi disse sottovoce: — Entrate, signore. Il signor Vittor Hugo è là. —

Stetti un momento immobile. Mi sentivo.... poco bene. Se la governante m’avssse guardato in viso, m’avrebbe offerto un bicchiere d’acqua.

Animo! — dissi poi a me stesso; sollevai una tenda, feci un passo innanzi e mi trovai in faccia a Vittor Hugo.

Era in piedi, solo, immobile.

Che cosa gli dissi? A diciott’anni, in quelle occasioni, si versano delle lagrime. Il pianto è la grande e dolce eloquenza della prima giovinezza. Ma a trent’anni non si piange più. A trent’anni si domina la commozione senza soffocarla, e si parla. L’entusiasmo trabocca, altero di sè stesso, in parole ardite e virili; la fronte si alza, l’occhio divampa, la voce vibra, l’anima grandeggia. Che cos’abbia detto, non so. Qualcuno mi sug-