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montagna che ha tutti i climi e tutte le vegetazioni, è Vittor Hugo. In quegli elenchi, ch’egli fa ad ogni pagina, dei genii di tutti i tempi e di tutti i paesi, da Giobbe al Voltaire, si capisce, si giurerebbe che, arrivato all’ultimo nome, è stato sul punto d’aggiungervi il suo, e che, non lo fece, non per modestia, ma per salvare, come suol dirsi, le convenienze. Egli tratta tutti quei grandi da pari a pari. Tutti i genii, d’altra parte — è una sua idea, — sono uguali. La regione dei genii è la regione dell’eguaglianza. Egli parla di Dante come d’un fratello. Ma oltre a queste ci sono mille altre manifestazioni della coscienza ch’egli ha della sua grandezza: l’ardimento superbo con cui mette le mani nella scienza e con cui affronta, passando, i più alti problemi della filosofia; la baldanza con cui ostenta le sue licenze letterarie, come se fosse certo che, coniate da lui, saranno moneta corrente e ricchezza comune; l’intonazione solenne delle sue prefazioni, che annunziano l’opera come un avveni-