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e schiacciate dal peso dell’armatura. Egli non spende, profonde a piene mani, sperpera i tesori inesauribili della sua potenza espressiva col furore d’un giuocatore forsennato. La lingua sua non gli basta. Egli toglie ad imprestito il gergo della plebe, la lingua furfantina delle galere, il balbettìo informe ed illogico dei bambini; tempesta la sua prosa di parole straniere di cento popoli e di traslati proprii di tutte le letterature; e si fabbrica superbamente un linguaggio suo, tutto colori e scintille, pieno d’enimmi e di licenze, di laconismi potenti e di delicatezze inimitabili; secondo il bisogno, triviale, tecnico, accademico, vaporoso, brutale, solenne; così che lette le sue opere, non par d’aver sentito parlare la lingua di un solo popolo e d’un solo secolo, ma una vasta e confusa lingua d’un tempo avvenire, per la quale non ci sia nulla d’inesprimibile e di straniero. Di questa potenza espressiva, come del coraggio del suo genio, egli abusa, e allora s’impiglia e si ravvolge nel proprio pen-