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60 l’inaugurazione degli ossari

campi. Ma oggi il ricordo dei morti è uno con quello d’una grande vittoria; da questi colli ove scrivo, l’Italia gettò al mondo il suo grido più possente di libertà; qui ella creò una di quelle parole — San Martino, — che rimangono nel cuore dei popoli e degli eserciti, ispiratrici di coraggio ne’ pericoli e di conforto nelle sventure, fino alle generazioni più tarde; qui per la prima volta il nemico sentì veramente nella ostinazione disperata degli assalti che con quei quaranta battaglioni saliva su pei colli contesi l’Italia, e il suo Re.

E vi si aggiunge il particolare significato dato alla cerimonia dalla presenza sul campo di battaglia dei rappresentanti dei tre popoli che pochi anni sono vi hanno combattuto una delle più grosse e più sanguinose battaglie moderne. È l’unanimità delle nazioni nel culto dell’amor di patria, nella venerazione del valore e nella pietà della sventura; sono i popoli stessi che si stringono la mano sui sepolcri dei loro figli, per dirsi che la guerra non ha lasciato traccia d’odii o di rancori; che, cessata la cagione del dissidio, all’ira sottentra l’affetto e nel nemico sorge l’amico; che gli orgogli nazionali si fondono e scompaiono in un sentimento umanitario sovrano che stringe popoli, monarchi ed eserciti nell’amplesso fecondo della pace, sotto la grande bandiera della civiltà.


Questa mattina — ventiquattro giugno milleottocentosettanta — il cielo era sereno e splendido come dodici anni or sono, quando risonava delle grida dei primi assalti e del rimbombo delle prime cannonate.

Arrivarono alla stazione di Pozzolengo, verso le otto, i due treni della strada ferrata ch’eran partiti la notte da Milano e da Venezia. Scesero dal primo il principe Umberto e il principe di Carignano, dal secondo i rappresentanti della Camera e del Senato. V’era il ministro della guerra e il ministro d’agricoltura e commercio, i prefetti di Mantova, di Brescia,