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la battaglia di solferino e san martino. 57

campo del generale Durando, gli Austriaci, per ordine dell’Imperatore, si ritiravano. Allora il Re affidava codesta brigata e la 1ª divisione al generale La Marmora, ordinandogli di correre in soccorso dell’estrema sinistra. Arrivati colà, il generale Durando colla 1ª divisione, cacciava il nemico da monte Maino; il general Fanti colla brigata Piemonte lo respingeva fino a Pozzolengo, e collocata una batteria sul monte San Giovanni tempestava di granate le spalle degli Austriaci combattenti a San Martino.

È scesa la notte; l’esercito austriaco si affolla disordinatamente sopra i ponti del Mincio, e ripassa.

L’imperatore dei Francesi pianta il suo quartiere generale a Cavriana e va a riposare nella stessa casa e nella stessa stanza dove riposava la notte innanzi l’imperatore degli Austriaci.

Il vastissimo campo di battaglia tace. I villaggi e le case risonanti poc’anzi di urli feroci e di colpi, risonano ora di voci lamentevoli e fioche, di parole di dolore, di preghiera, di conforto, di pace. Da casa Marino a Cavriana, da Medole a San Martino, cinque mila cadaveri e ventitre mila feriti sono sparsi; le colline e le valli miseramente insanguinate, i campi devastati e pesti, diroccate le case, e per tutto armi disperse, cannoni atterrati, e cavalli giacenti, e tracce funeste di desolazione e di morte.

I due eserciti riposano.

Qua e là scintillano i primi fuochi del bivacco, illuminando all’intorno generali e soldati, vinti e vincitori, stesi per terra, chi ferito e chi dormente, gli uni accanto agli altri, alla rinfusa, come eguali ed amici.

Ed erano eguali, sì, generali e soldati, nella fortissima virtù dei sacrificii, nella generosa devozione ai loro Principi e nel divino amore della patria; amici sì, vincitori e vinti, nella sublime religion del valore, d’ambo le parti, in quel giorno memorabile, splendidamente glorificata col sangue.