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144 dell’istruzione delle donne.

mi una signora sulla quarantina, lunga ed asciutta, “è una grande amica della sua signora madre.”

M’inchinai e sedetti.

La signora mi presentò suo figlio, un giovanetto di sedici anni, che mi strinse la mano con un atto vivace, guardandomi fisso.

“Ci siamo!” dissi tra me; ora piovono gli allori.

“Dunque,” cominciò la signora dopo avermi squadrato da capo a piedi (sorriso, sguardo penetrante, sorpresa, nulla di tutto questo. — Si contiene! — pensai) “dunque lei è venuto a passare qualche giorno colla mamma, non è vero?”

“Sì, signora.”

“Oh bravo! Ha fatto bene. E... come ci si trova a Firenze?”

“Bene... veramente. Non potrei desiderare di meglio.”

“E... sento che si occupa.”

“Un poco.”

“Scrive, scrive.”

Accennai di sì.

“Bravo, fa bene; se ne troverà contento. Non fa come gli altri giovani che sciupano il tempo nei divertimenti, e poi viene il giorno che se ne pentono. A star a tavolino, invece di bazzicare i cattivi compagni, si guadagna sempre qualcosa, o, alla peggio, non ci si perde nulla, non è vero?”

“Gran Dio!” io tra me dissi, “cos’è questo?”

“Abbiamo letto le cose sue, sa?”

Io chinai il capo.

“Sicuro. Oh! abbiamo letto, abbiamo letto. Ha fatto dei bei lavori, in verità. No, no, se lo lasci dire, e poi già l’hanno detto anche degli altri: si vede che c’è la stoffa.”

Seguì un minuto di silenzio.

“Anche mio figlio, vede, ha disposizione a scrivere.”

Il ragazzo arrossì, interruppe sua madre, e mi lanciò una timida occhiata.