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whist e del ventuno, del rosso e nero, del monte e del faro, tranquillamente rinchiuse ne’ loro involti intatti, comprendevasi che l’avvenimento del giorno assorbiva qualunque altro bisogno e non lasciava adito a qualsiasi distrazione.

Fino a sera un’agitazione sorda, senza clamori, come quella che precede le grandi catastrofi, corse tra la folla ansiosa. Un indescrivibile malessere regnava negli animi, un torpore penoso, un sentimento indefinibile che stringeva il cuore. Ciascuno avrebbe voluto «che tutto fosse finito.»

Tuttavia, verso le sette quel pesante silenzio si dissipò come per incanto. La Luna si alzò sull’orizzonte. Più milioni di evviva ne salutarono l’apparizione. Essa era esatta al convegno. I clamori salirono fino al cielo; gli applausi scoppiarono da tutte le parti, mentre la bionda Febe brillava pacificamente in un cielo ammirabile, ed accarezzava quella folla inebbriata da’ suoi raggi più affettuosi.

In quel momento comparvero i tre intrepidi viaggiatori. Al loro aspetto le grida raddoppiarono d’intensità. Unanimamente, istantaneamente il canto nazionale degli Stati Uniti sfuggì da tutti i petti anelanti, ed il Yankee doodle, ripetuto in coro da cinque milioni di esecutori, innalzossi come una tempesta sonora fino agli ultimi confini dell’atmosfera.

Poi, dopo quell’invisibile slancio, l’inno tacque, le ultime armonie si spensero a poco a poco; i rumori si dissiparono, e solo un cheto susurro ondeggiò sopra quèlla folla sì profondamente impressionata. Intanto il Francese e i due Americani erano