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238 | giulio verne |
chieri, di caraffe, di fiaschi, di bottiglie dalle forme stranissime, di mortai per pestare lo zucchero e di pacchi di paglia!
— Ecco il giulebbe colla menta! gridava uno di quegli spacciatori con voce stentorea.
— Ecco il sangaree col vino di Bordeaux! ripeteva un altro in tuono stridulo!
— Ed il gin-sling! diceva uno.
— Ed il cockstail! Il brandy-smash! vociava l’altro.
— Chi vuole assaporare il vero mint-julep, all’ultima moda? chiedevano que’ destri mercanti facendo passare rapidamente da un bicchiere all’altro, come un giocatore fa colla noce moscata, lo zucchero, il limone, la menta verde, il ghiaccio pesto, l’acqua, il cognac e l’ananas fresco, che compongono questa bevanda ristorante.
E però, di solito, tali inviti rivolti ai gorguzzoli assetati dall’azione bruciante delle spezie si ripetevano, s’incrociavano nell’aria e producevano un frastuono assordante. Ma quel giorno, quel primo dicembre tali grida erano rare. I venditori inutilmente si sarebbero arrochiti a tentare gli avventori. Nessuno pensava nè a mangiare nè a bere, e alle quattro del dopopranzo, quanti spettatori circolavano nella folla che non avevano ancora preso il loro lunch abituale! Sintomo ancora più significativo, la passione violenta dell’americano pei giochi era vinta dalla commozione. Al vedere i birilli del tempins sdraiati sul fianco, i dadi del creps che dormivano ne’ loro bussolotti, la roulette immobile, il cribbage abbandonato, le carte del