Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
236 | giulio verne |
solita aria affaccendata; ma nulla svelava in lui una preoccupazione speciale. Il suo sonno era stato tranquillo, il sonno di Turenna, prima della battaglia, sull’affusto di un cannone.
Dall’aprirsi del mattino, una folla innumerevole ricopriva le praterie che si estendono fin dove lo sguardo si perde intorno a Stone’s-Hill. Ogni quarto d’ora il convoglio di Tampa conduceva nuovi curiosi; quest’immigrazione, in breve, assunse proporzioni favolose, e, secondo i dati del Tampa-Town Observer, durante quel giorno memorabile cinque milioni di spettatori calcarono il suolo della Florida. Da un mese la maggior parte di tal folla bivaccava intorno al recinto e gettava le fondamenta di una città, che si è chiamata di poi Ardan’s-Town. Baracche, capanne, tettoie, tende, sorgevano per la pianura, e siffatte abitazioni effimere ricoveravano una popolazione abbastanza numerosa da far invidia alle maggiori città d’Europa.
Tutti i popoli della terra ci avevano i loro rappresentanti; tutti i dialetti; del mondo vi erano parlati. La si sarebbe detta la confusione delle lingue, come nei tempi biblici della torre di Babele. Quivi i diversi ordini delle società americane confondevansi in un’eguaglianza assoluta. Banchieri, coltivatori, uomini di mare, commissionari, sensali, piantatori di cotone, negozianti, barcaioli, magistrati vi si urtavano con una libertà primitiva. I creoli della Luigiana fraternizzavano cogli affittaiuoli dell’Indiana; i gentlemen del Kentucky e del Tenessee, gli abitatori della Virginia eleganti ed