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vengono dall’Italia. — Non seppi che cosa rispondergli, e in pochi momenti l’udii russare. Lo svegliai al pezzo indicatomi, dopo il quale o si riaddormentò o finse di dormire, e cosí per tutto il rimanente dell’opera; e allora ci separammo. Due o tre giorni dopo, dovevasi rappresentare il mio Don Giovanili . Andai la mattina al teatro, e trovai scritto il suo nome nel solito libro de’ posti, ed, essendovi loco anche per me nella loggia stessa, vi feci registrar subito il mio. Era egli giá nel suo sedile, quand’ io v’andai; ond’io mi posi al suo fianco. Verso la fine dell’atto primo volli parlargli; ma egli, quasi in atto di sdegno, mi fece cenno di tacere, e, quando, dopo il finale, calò il sipario: — Ora parlate — mi disse, — o signor Da Ponte. Che volevate dirmi? —Voleva chiedervi — replicai — quando v’adagerete per dormire. — Domani — soggiunse: — a tali spettacoli non solo non dormesi alla rappresentazione, ma non si dorme, dopo quella, tutta la notte. — Questo complimento solleticò un pochino il mio amor proprio, tanto piú che mi parve vederlo prestar pari attenzione al cosí detto «recitativo» e a’ piú sublimi pezzi di musica. Terminata la recita, obbligommi con dolce forza di andare a cenare da lui. Non durò meno di due ore la nostra cena e non si parlò che di teatro. Tutte le sue riflessioni mi parvero giustissime. Egli era ammiratore entusiastico di Goldoni e d’Alfieri. — Immenso — mi diceva egli — è il merito di questi due sommi uomini. Essi sono le due piú forti colonne del vostro teatro, ed ogni critico giusto deve considerarli i ristoratori, anzi i creatori della vera comica e tragica italiana; e non è forse l’ultimo de’lor meriti quello d’aver dato de’ novelli Rosei all’Italia, perché non è possibile, per uno che sappia sol leggere, recitar le bellissime scene di tali scrittori senza essere declamatore eccellente, e chi non l’è, lo diviene. — Io pendeva dalla bocca di quell’egregio ragionatore, come una volta pendevasi dagli oracoli; e se io gioiva in udirlo, chi ha fior di senno sei pensi. Fu questa poi la sua ultima osservazione. — In Francia, come tutti sanno, non si canta come in Italia: ma, siccome i drammi, che rappresentansi, sono in generale scenografici, graziosi e pieni di spirito,