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quel duetto, terzetto o finale, e in cui il verseggiatore s’imagina che consista il principale pregio del dramma. Se l’inimitabile Rossini, invece d’esser condannato a vestir delle leggiadre sue note parole insieme accozzate per formar un certo numero d’accenti e di sillabe, a cui dar s’osa il nome di «verso», e in cui non havvi né sentimento d’anima, né vivezza d’affetto, né veritá di carattere, né merito di situazione, né grazia di lingua, né imagine di poesia, avesse avuto de’drammi, in cui, oltre l’interesse del soggetto, avesse il poeta saputo opportunamente alternare il dolce e il feroce, l’allegro e il patetico, il pastorale e l’eroico, ecc. ; altro, ben altro sarebbe stato l’effetto della sua musica, ché la varietá de’ metri, de’ sentimenti e delle parole l’avrebbe obbligato a variare. La pruova di ciò è II barbiere di Siviglia , ch’essendo un de’ capolavori di Beaumarchais, ha somministrato degli ottimi materiali al traduttore italiano. Questa triplice varietá fu il principale mio studio in tutti i drammi scritti da me, e in quelli principalmente che ebbi la fortuna di scrivere per Salieri, Martini e Mozzart, ch’aveano il pregio di saper leggere; pregio per veritá che non tutti vantano i nostri compositori di musica, alcuni de’ quali non sanno quanta differenza passi tra i versi di Metastasio e quelli di Bertati o di Nunziato Porta. Io ho quasi l’ardire di credere che, in dodici drammi scritti da me per que’ tre maestri, non vi sieno due arie o due cosí detti «pezzi concertati» che si somiglino; e, se in queste lor opere si son raramente copiati, in questo aspetto almeno il vanto piacevole mi si accordi d’esser a parte della lor gloria. Questa è la risposta che diedi allora a quel critico, e della quale solennemente poi me ne compiacqui per un avvenimento bizzarro, che fa a proposito. Un signore americano, grande amatore di musica e nella nostra favella versatissimo (come quegli che vissuto era molti anni in Italia e tutte le sue primarie cittá aveva visitate), m’era vicino nel teatro alla rappresentazione d’un dramma applaudito. Verso la metá del primo atto, volgendosi a me, sorridendo: — Signor Da Ponte — disse egli, — terminata quest’aria, m’adagerò per dormire: quando viene il tal pezzo, vi prego svegliarmi, se allora dormo; e credo bene che dormirò, perché questo povero dramma è il miglior soporifero del mondo, come lo son per disgrazia quasi tutti quelli che