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perché si sa che, invecchiando, dee perder gran parte delle sue grazie. Questo conoscimento al contrario aumenta la brama di gioirne e di córre la fresca e mattutina rosa, che, tardando stagion, perder potria.

Facciam il medesimo col Rossini; amiam la sua musica finché piace; quando piú non ci piacerá, lo porremo a dormire co’ Palestina, cogli Scarlatti, co’ «Sassoni», i cui nomi sono immortali nell’universo pel tempo c’hanno piaciuto, quantunque piú adesso non piacciano. Quanto poi ai gradi di merito di questi due celebri compositori ed alle qualitá del diletto prodotto nell’uditore dalla squisita lor musica, né io né voi abbiamo competente bilancia da darne il peso. Io, perché amo ma non professo questa bell’arte ; voi, perché guidato da pregiudizio e forse da una secreta invidiuccia. Parmi nulladimeno di poter dire che, se l’opere di Mozzart sorpassano quelle dell’italiano in profonditá di scienza e negli effetti ammirabili d’una studiata armonia, quelle del Rossini a molte persone piú piacciono per la soavitá delle melodie e per la rara facilitá che trova il cantante a eseguirle, e a ritenerle l’ascoltatore. Voi pretendete nulladimeno che queste melodie rossiniane non giungano fino al core, ed io non voglio fare una guerra con voi su questo punto. Al mio so che vi giungono: se non giungono fino al vostro, è facile che la colpa sia degli orecchi, nella cui soverchia lunghezza l’aria armonizzata si perde, come ho udito dir che perdevasi in quelle del povero Mida. In una cosa però avete dato nel segno, e vi do ragione. Il bravo Rossini ripete qualche volta se stesso nelle sue composizioni. Ma ciò non adiviene, per giudizio mio, per mancanza d’idee o per povertá di fantasia: colpa di ciò è l’avara ignoranza de’ malaccorti intraprenditori teatrali, i quali, credendo che nel successo d’un dramma musicale poco o nulla conti il poeta, per risparmiar qualche piastra col poeta, che tutt’altro è che poeta, dánno a’ compositori di musica delle parole che non dicono niente e dicono sempre lo stesso. Pochissimi sono i drammi ne’ quali non s’oda ripetere una, due e tre volte: «Ah! mi si spezza il core!...», «Io non ho piú speranza...», «Tu mi trafiggi il seno...», «Io morirò d’affanno...», «La mia felicitá...», o frasi e parole di simil genere, che bene o male devono entrar nel cominciamento di quell’aria o nella «stretta», ossia chiusa, di