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Dopo esser egli stato alcuni giorni con me, parti da NeivYork per andare a Boston a visitare il fratello. Al suo ritorno da me, parlottimi con sentimenti di gioia di certo articolo inserito il mese d’ottobre di quell’anno (1824) nel North American Review, giornale di molto grido in America, nel quale, per quello che udito aveva da molti, con vera stima parlavasi dell’idioma e letteratura italiana. È facile imaginare il mio giubilo a tal novella. Corsi senza indugiare al magazzino del libraio da cui quel giornale vendevasi ; ne feci l’acquisto, e, senza darmi il tempo d’andare a casa, mi misi a leggerlo. Fu grande la mia allegrezza quando, al cominciamento di quello, d’intendere mi parve che fine primario di quello scrittore fosse di promuovere particolarmente Io studio della nostra letteratura («that an acquaintance with Jtaíian literaiure should be widely diffused»). — Avremo dunque — diceva io a me medesimo, leggendo, — avremo anche in America un Roscoe, un Ginguené, un Mathias, e andranno meglio le cose. — Ma, quando, proseguendo a leggere, m’accorsi che il nostro apparente Plinio prendeva improvvisamente tutta la severitá d’Aristarco, cangiossi allora in cordoglio la gioia mia, e mi parve di vedere il mostro oraziano. che, dopo aver mostrato la bella faccia d’un capo umano, scopre gradatamente una cervice di cavallo ed una coda di pesce. Credei allora che fosse da me il confutar l’opinioni erronee di quel censore. Pubblicai delle Osservazioni su quell’articolo, che, sebben giustissime parvero ad ogni colto e spregiudicato lettore, nulladimeno, invece di convincere de’ suoi torti l’ancor «giovine atleta», l’incoraggiarono a pubblicare un secondo articolo pili acre, piú amaro e piú d’errori pieno e di pregiudizi del primo! Io aveva determinato di dargli una seconda lezione d’un genere diverso dalla prima, che fu per altro tenuta per «balsamica» da uno de’ miei coltissimi allievi, il quale in una sua spiritosa lettera s’esprime cosí: «Non seppi piú della scienza solida dell’Italia che possiede il critico di Boston, a cui Ella ha amministrato un balsamo salutare» (doveva dire «irritante»). Ond’io, di tanto accorgendomi, e riflettendo che ciò ch’ei diceva non era che una esagerata ripetizione