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Robins non avea abbastanza rubato per .condannarlo a pagar cinquecento piastre al Da Ponte, e che quel bravo galantuomo avea degli altri galantuomini come lui, pronti a giurare e a pruovare quel che diceva. Esaminò questi testimoni (0, pratica orribile nelle corti di Pensilvania; e quegli onesti e sapientissimi giurati decisero uno ore che prò ovini et loto eo il galantomenone Tommaso Robins pagasse come per atto di caritá duecentocinquanta talleri a Lorenzo Da Ponte. Abbassai gli orecchi come un povero asinelio stanco, e adorai nel secreto del mio core una si luminosa sentenza. Minosse, cred’io, non ne proferí mai di piú giuste!

Vuotiamo adesso l’amara coppa! Arrivato il momento in cui questi duecentocinquanta talleri dovevano pagarmisi, i beni di Tommaso R.obins eran divenuti proprietá del fratello Gilberto, del fratello Giovanni, del cognato P***. Il signor W. Brady, scerifo della contea, era volato nella luna e portate seco tutte le carte, i documenti e gli atti di quella corte; le guarentige del signor T***, mallevadore del signor scerifo, aveano anche esse dovuto fallire; e cosí andarono in fumo sei cavalli ed un carro, che m’aveano in punto costato seicento e cinquanta piastre, e che l’avvocato del popolo, i suoi testimoni ed i suoi giurati avevano fatto valerne dugento e cinquanta! Non vi son dunque leggi nella infelicissima Sunbury? Si, signore, risponde Dante: Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

Se uno vi ponesse mano, non vi si vedrebbero impuniti tanti delitti, tante usurpazioni, tanti tradimenti. Non avrebbe osato un avvocato di quella corte rimetter fraudolentemente uno stromento di vendita segnato da’ venditori ad un perfido, che per tal maneggio mi scroccò tremila iugeri di terra per men della quarta parte del loro valore reale. E non avrebbe un altro avuto l’ardire di farmi sborsar trecentocinquanta piastre (i) Erano questi stati giá esaminati in prima istanza.