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Benedetto di Venezia (Wiel, p. 430, n. 106S) — La partenza del Martin da Londra (I, 200) è certamente anteriore al 25 agosto 1795, giorno in cui il D. P. scriveva al Casanova che quel «maledetto bastardo», pur essendo dimorato in casa sua circa nove mesi, costandogli piú di quaranta ghinee, sparlò pubblicamente di lui, gli usurpò diritti, lo «rubò» (jiV) e parti da Londra «insalutato hospite, dopo avergli ingravidata una brutta serva», con tutto quel che narra nelle Memorie (I, 198). E nel 1795 parti anche la Morichelli (I, 200), la quale, come s’è visto, nell’autunno di quell’anno cantava giá al San Moisé di Venezia. — Una circostanza taciuta poi nelle Memorie è che nel 1795 vennero fatte al D. P. condizioni assai meno lucrose che nel 1794; ond’egli, per guadagnare qualche altro centinaio di sterline, prese in affitto la buvette del teatro, ponendovi a capo la Nancy (citata lettera al Casanova), alla quale, da una frase sfuggitagli piú oltre nelle Memorie (I, 212), pare facesse fare in quel tempo anche la ballerina. — La traduzione del libretto di Zèmyre et Azor (I, 201-2), di cui il Grétry aveva scritta la musica nel 1771, do- • vrebbe essere del 1795 o del 1796, salvo che il D. P. non abbia anticipati avvenimenti posteriori. — Affermare poi, com’egli fa (I, 204), che un uomo come lui, il quale nelle sue lettere al Casanova si dimostra praticissimo di usurai e di effetti cambiari, ponesse ingenuamente, e senza capirne le conseguenze, la sua firma sulle cambiali del Taylor, vai quasi come dare dell’ imbecille al lettore. La versione piú benevola pel D. P. sará che egli, bisognoso, come sempre, di danaro, s’inducesse, con la sua consueta leggerezza, a rendere, mediante compenso, siffatto servigio al suo impresario, della cui solvibilitá non aveva avuto fino allora ragione di dubitare. Del resto, dei suoi ingarbugliatissimi rapporti finanziari col Taylor, sui quali egli si effonde piú oltre cosí noiosamente, è da dire il medesimo che del suo licenziamento dal teatro di corte di Vienna: fintanto che si avrá il solo racconto autopologetico dapontiano, non si potrá saper mai come sieno andate effettivamente le cose. — Il bergamasco Giuseppe Ferlendis (1755-1804?), di cui il D. P. (I, 205) fa un amante della Banti, aveva reputazione europea come suonatore di oboe e di corno inglese, e s’era ritirato in Inghilterra dal 1793 (Fétis, IV, 87). — Celebre tenore era Giuseppe Viganoni (1754-1823): il D. P., prima di rivederlo a Londra (I, 206), lo aveva certamente conosciuto a Vienna, ove recitò nel Re Teodoro (Fétis, Vili, 457). — Famoso violinista poi il fratello della Billington (I, 206), e cioè il londinese Carlo Weichsell (Fétis, Vili, 534).— Della recita londinese di Arvira ed Evelina (I, 207) di Anton Maria Sacchini (1734-86) e di Giambattista Rey (1734-1810) non trovo notizie: probabilmente ebbe luogo nel 1796 o nel 1797, o magari nel 1798. — Nè poi tra le opere del Bianchi il Fétis e I’Eitner annoverano la farsa Armida (I, 207). Armida, si bene, fu tra le prime produzioni che il musicista Pietro di Winter (1755-1825), pel quale il D. P. scrisse nel 1803-4 a Londra alcuni libretti (I, 254), fece rappresentare a Munich nel 1778