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teatrale italiana; e, pochi giorni dopo, si fermava ad Amsterdam, ove avrebbe raccolto ben presto molte firme per una nuova sottoscrizione, la cui cifra complessiva, portata nelle Memorie (I, 187) a dugentomila fiorini, vien limitata nel carteggio col Casanova a ottantamila. Sennonché, proprio nel giorno in cui i borgomastri dell’Aia e di Amsterdam avrebbero dovuto dare il loro benestare al suo disegno, giungeva la notizia della sconfitta anglo-olandese ad Handschoote (8-9 settembre 1793), «del principe di Orange ferito, dell’altro perduto, dell’assedio di Dunquerke levato»; in guisa che non «si pensò ad altro che a chiuder gli spettacoli, a far aprir tutte le chiese e a mandare al diavolo» il D. P. (lettera al Casanova del 27 settembre 1793, in Molmenti, I, 295). Al quale pertanto «alcuni signori olandesi», e forse il banchiere Hope (probabile parente del famoso banchiere D’O *** casanoviano, se non proprio egli medesimo) e il generale Butzeler (Memorie, I, 187), proposero di farsi promotore di una novella sottoscrizione per una serie di concerti orchestrali e vocali ; e, a tal uopo, il D. P. scriveva anche alla Ferrarese, tornata nel frattempo a Vienna, cui offri milledugento zecchini per quaranta concerti, senza per altro poter aver da lei alcuna risposta (lettere al Casanova del 27 sett. e del 13 ott. 1793, in Molmenti, I, 196-9). Né poi piú favorevole accoglienza alla proposta dapontiana di assumere insieme quell’impresa fece il Guardassoni (l’impresario del teatro italiano di Praga), cui i fiorini, che si sarebbero per tal modo guadagnati in Olanda a cappellate, parvero (come erano) sogni di una fantasia esaltata; al contrario del D. P., che, vedendo la cosa bella e fatta, abbozzò in quel tempo un’ «operetta seria», che si proponeva di far recitare in occasione dell’annunziata venuta dell’imperatore Francesco in Olanda, e distese interamente una cantata per festeggiare la guarigione del piú giovane dei principi di Orange (ferito a Dunquerke); operetta e cantata, che non vennero mai eseguite e neppure stampate (lettere al Casanova del 13 ottobre e del 17 novembre 1793, in Molmenti, I, 298-9, 309-10). — La miseria, intanto, in cui versava il disgraziato librettista, lo induceva, dopo aver pensato un istante a metter sú un negozio, di mode, a prender a cambiale da un ebreo dugento fiorini ; e fu appunto in quella circostanza che inviò, non giá al Casanova, com’è detto nelle Memorie (I, 188), ma al conte di Waldstein una ridicolissima epistola in ottave (pubblicata dal Molmenti, I, 301-4) ; la quale, per altro, non istrappò a quell’«ambulante macigno» nè lagrime né danari, ma soltanto una sonora risata: sebbene il Casanova, checché dica in contrario il D. P. (I, 1S9), non mancasse di fare per lui, anche quella volta, opera di buon amico, giungendo perfino, in una lettera del 5 novembre 1793 (che dev’esser quella ricordata dal D. P. nelle Memorie ), a trovar «belle» le ottave al Waldstein, che l’autore stesso riconosceva tutt’altro che tali (cfr. la citata lettera del D. P. del 17 novembre 1793). — Quel che poi questi narra del sogno del Cera (I, 189-90;, della lettera della sorella della Nancy con le venti ghinee (I, 191) e della sua immediata partenza per Londra è dovuto in parte a mera