Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/292

[e non giá tre giorni dopo, come narra il D. P., I, 152] 5. M. m’ordone de fiaire venir l’abbc D. P. chez lui á 11 heures du malin. Il y fút et il resta pendant une heure et demi. Du discours je ne suis pas in/ormé, mais le resultai fui une suspension d’user des rigueurs de la police conlre lui. Il se petit fori bien qu’il ail parie des maquinations, car c’est un affair de l’abbè. J’ai lieti de eroine qu’il s’agissoit de decouvrir des fripons. Voilá loul ce que vous pourez dire aux belles dames qui vous ont chargè», ecc. (Molmenti, Cari, casan., I, 233-4, e cfr. 226). — E se il Pittoni, che era dietro l’uscio mentre i due parlavano, dichiarava, al contrario di ciò che afferma il D. P. (I, 153), di non conoscer nulla di quel colloquio, figurarsi se ne possiamo saper qualcosa noi ! Giacché è ovvio che sulle informazioni, che, con molte reticenze, da lui stesso confessate (I, 159), ce ne dá il D. P., non si possa fare alcun affidamento, quantunque egli dica di riferir di quell’udienza «tutto l’essenziale», senza commettere «la minima alterazione» ; che è poi la consueta avvertenza da lui premessa sempre che si accinga a dire qualche grossa bugia. In sostanza, il D. P. vuol far credere che Leopoldo, pienamente convinto della sua innocenza, gli promettesse un «risarcimento» (I, 158), che egli si guarda bene dal precisare, salvo poi a mancargli spudoratamente di parola (I, 165; II, 163; lettera al Pananti, del 28 nov. 1828, nei cit. Scritti mbiori del P., p. 335). Ma perché mai l’imperatore, se avesse avuta siffatta convinzione, gli avrebbe recisamente proibito di ritornare a Vienna, come il D. P. vivamente desiderava? (I, 156). Tutt’al piú, Leopoldo avrá potuto dire al suo ex-poeta qualche vaga parola di commiserazione, e, per premiarlo delle sue delazioni (chissá quanto rispondenti al vero!) contro l’amministrazione del teatro di corte (I, 154, 159; citata lettera del Pittoni), recedere dalla sua determinazione di fare sfrattare quel «coquin» anche da Trieste (cit. lett. del Pittoni), offrendogli magari del danaro, che il D. P., checché egli dica (I, 159), si sará guardato bene dal rifiutare. — Comunque, il D. P. si ridusse ben presto senza un soldo (I, 160) ; donde quella sua frecciata al lontano Piatti, che egli aveva dovuto conoscere a Vienna verso il 1784 (anno in cui nasceva colá al Piatti il figlio Franz), e che il cielo poi avrebbe punito, facendolo morir giovane e «non sul letto». Cosa, quest’ultima, perfettamente vera; giacché, nell’elenco dei giustiziati politici napoletani del 1799, s’incontrano appunto, alla data del 20 agosto 1799, Domenico Piatti, nato a Trieste il 1743, banchiere e tesoriere della repubblica partenopea, e suo figlio Antonio, nato parimente a Trieste il 7 aprile 1771 (De Nicola, Diario , Napoli, 1906, I, 70, 82, 116, 155, 192, 212, 269, 271-2; D’Ayala, Vite degli illustri Hai . uccisi dal carnefice , pp. 490-5; Giustino Fortunato, I giustiziali di Napoli, 3 a ediz., in Scritti vari, Traili, Vecchi, 1900, p. 141 ; Fausto Nicolini, in Cuoco, Saggio storico della rivol. napoletana del 1799, Bari, Laterza, 1913, pp. 370-1). — Se tra l’udienza imperiale e la rappresentazione triestina dell ’Ape musicale e dell’altra opera