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di Somma al march, della Sambuca, da Vienna, io maggio 1784, in Arch. di Stato di Napoli, Aff. esteri , Austria, fascio 64). Il 23 agosto di quell’anno venne poi dato, con quel clamoroso successo di cui il D. P. parla a denti stretti (I, 99-100), il Re Teodoro a Venezia (Somma a Sambuca, 23 e 30 ag. 1784, in Arch. cit., fascio cit.). Che Giuseppe II, per espresso comando del quale l’opera fu scritta (Somma a Sambuca, cit. lett. del io maggio 1784), gustasse soltanto la bellissima musica del Paisiello, è asserzione del D. P. (I, 100), non solo non suffragata da altre testimonianze, ma smentita da tutte le biografie castiane (cfr., p. e., G. B. Casti, Gli animali parlanti , con prefazione del dr. Vandregisilo Tocci, Milano, Sonzogno, s. a., p. 14). Del resto, l’antipatia del D. P. pel Re Teodoro e pel suo autore era condivisa dal Casanova, nei cui Mémoires, anzi, si trova la spiegazione de «l’eccitator di voluttá languente» (Da Ponte, I, 121) e di qualche altra consimile allusione dapontiana ai rapporti tra il Casti e il Rosemberg: il poeta, insomma, sarebbe stato utile al ministro anche come «pourvoyeur de fittes» ( Mémoires , Vili, 392). Vera o falsa che fosse quella diceria, due affermazioni del D. P. sembrano immensamente esagerate, se non frutto di mera invenzione: a) che il Casti facesse parte di quella lega offensiva e difensiva, che avrebbero stretta contro il nostro autore tutti i poetucoli e poetastri italiani allora residenti a Vienna (I, 101-3), non escluso quel Gaetano (non Gioachino) Costa (I, 182-3), giá servitore e «scrittore» e poi ladro del Casanova ; b) che alla testa di siffatta congiura si ponesse nientemeno il conte di Rosemberg (I, 99, 103, 107, ecc.). Figurarsi se quel gaudente bonario del Casti, cosí amante dei propri comodi e del quieto vivere, e che aveva allora, come poeta, rinomanza europea, potesse prendersi la briga di venire a una lotta al coltello contro chi (checché pensasse il D. P. di se medesimo), nonché dargli alcuna ombra, non gli era nemmeno di ostacolo nel conseguimento delle sue aspirazioni, giacché niente vietava che sussistessero contemporaneamente a Vienna (come avvenne infatti dopo la partenza del D. P.) un «poeta cesareo» un «poeta dei teatri» ! E figurarsi ancora se un uomo come il Rosemberg, che era la piú perfetta incarnazione del cortigiano austriaco, incapace di manifestare un’opinione non perfettamente conforme a quella del suo signore, pronto sempre (come diceva l’imperatore Francesco) a «voltare il mantello secondo il vento» e anzi a «sacrificare l’amico, il parente e fin se stesso» ai riguardi di corte (citate Lettere politiche del Casti, pp. 156, 181, 187, 230), mutasse tutto a un tratto temperamento per porsi alla testa di un insulso pettegolezzo contro un suo subalterno, che sapeva ben visto dall’imperatore, e a cui, in fondo, egli stesso aveva dato il posto. Certo, cosí allora a Vienna, come pel passato a Firenze, manifestò, con grandissima gelosia del D. P. (I, 99, 118, ecc.), molta benevolenza pel Casti, facendolo «arbitro d’andar da lui a sua volontá e piacere, e di prevalersi di tutto ciò che gli apparteneva» (citate Lettere politiche, p. 231); né forse gli sarebbe doluto di vedere