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libri ottiene ordinariamente dagli editori. Questo era un opporsi direttamente alle mie vedute, che tendevano ad abbassare quanto fosse possibile i prezzi delle nostre opere, che troppo care vendevansi allora da’ librai di New-York. Questa durezza dell’editore fiorentino, le spese gravissime della trasportazione e l’eccessivo dazio, ch’allora pagavano i libri italiani, non mi lasciavano venderli a prezzi discreti, com’io bramava. M’occorse una difficoltá ancor maggiore in una seconda spedizione fattami da un libraio fiorentino, che volle parimente restare anonimo, e che non solo non mi concesse i ribassi degli altri librai, ma pose i suoi volumi sessanta, settanta e cento per cento piú alti di prezzo di quello che mi vendevano e vendono gli altri editori, anzi di quello che presentemente mi vende egli stesso. Avrei forse dovuto cessare intieramente da ogni commercio di libri, se fortunatamente i signori Fusi e Stella di Milano non m’avessero esibite spontaneamente le loro edizioni. Accettai con piacere . la loro offerta: diedi loro diverse commissioni, ed ebbi ragione finora d’esser contento. I loro prezzi son moderati, le loro edizioni, tanto per le materie che per le annotazioni, sono utilissime e generalmente corrette. Fui abilitato cosí a somministrare i libri italiani a discreti prezzi: questo obbligò gli altri librai ad abbassare quelli de’ lor cataloghi, e non s’udi piú dire in New-York: — I libri italiani son troppo cari. — Io vedeva quindi diffondersi piú e piú, anche per questi ribassi, la lingua e gli scrittori del mio paese. Fu verso questo tempo che un colto fiorentino, che insegnava con buon successo la nostra favella nel collegio di Cambridge e che onoravami allora della sua amicizia, mi fece cenno, in una sua lettera, di certo articolo d’un suo allievo, pubblicato nel North American rcview il mese di ottobre del 1824, e parlommene in modo da eccitar in me la voglia di leggerlo. Le prime quindici o venti linee di quell’articolo erano tali veracemente, ch’io cominciava a gonfiarmi tutto di boria nazionale, e a credere d’aver trovato nel giovane americano un novello Ginguené, un Roscoe, un Mathias, pel suono della cui tromba panegirica m’imaginava di vedere la letteratura