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Signore riveritissimo, ad ogni persona onorata disdice mentire, ma, piú che a tutti, a un uomo arrivato all’etá mia. Non creda dunque, caro signore, ch’io voglia macchiar di tale taccia la mia memoria e disonorar il poco di buono, che v’è nella vita mia, con una solenne impostura, che facilissimamente potrebbe essere smentita da quelli che, anche dopo la morte, amano e riveriscono il nome e i talenti dell’abate Casti. Tutto quello, che ho scritto nella mia Vita di me, d’altri o di lui, è veritá incontrastabile, e il traduttore delle sue opere, gli editori delle Vite degli uomini illustri e qualunque altra persona dica il contrario, o fu ingannata o vuol ingannare. Scrivendo le mie Memorie, ho creduto dover dire tutto, tanto per quello che devo a me, che per quello che devo a’ figli e congiunti miei, che mi sono assai cari, e una parte de’ quali vive in Italia. Io non sono mai stato poeta cesareo per due ragioni fortissime: prima, perché non aveva né i talenti né l’esperienza da occupare un posto occupato prima dalle due colonne del dramma italiano, Zeno e Metastasio; e, secondariamente, perché Giuseppe secondo era positivamente risoluto di non volerne. Il mio titolo era «poeta de’ teatri imperiali», la mia paga milleduecento fiorini invece di quattromila, e il mio obbligo quello di fare de’ drammi buffi, per cui mi pagavano a parte. In questo uffizio credo d’esservi riuscito abbastanza per non arrossire, ed Ella, italiano e favoreggiatore degli studiosi (ché di un. tal merito solo ardisco pregiarmi) deve a mio giudizio, aver veduto in Italia una quantitá d’opere composte da me, per esempio la Cosa rara, L’arbore di Diana , il Figaro, il Don Giovanni, La capricciosa corretta, per tacer di tante altre, che tutti sanno essere opere scritte da me in Vienna, mentre viveva Giuseppe secondo e mentre il signor abate Casti era in Costantinopoli e credo in Russia col conte Frietz di Vienna. La cosa, signore, è come io la descrissi: Casti fu poeta cesareo, ma lo fu di Leopoldo, non di Giuseppe; e quelli, che lo dicono poeta di Giuseppe, bisogna ch’abbiano poco criterio, perché esser poeta dieci anni (ché tanto tempo regnò Giuseppe) e non far che due drammi (ché due drammi soli scrisse Casti) è lo stesso che dire: — Io tengo un cuoco eccellente per acconciar l’insalata, e il guattero per cucinar il pranzo. — Quanto a’ talenti e al reai merito di Casti, Ella vedrá nel mio terzo volume, che spero pubblicare in due settimane, in qual maniera io ne parli e come sappia fargli, senza pregiudizi, quella giustizia ch’ei merita. Delle belle cose, eh’Ella mi dice quanto allo stile e all’eleganza