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piccolo sasso urtando atterra e solve la smisurata mole in poca polve. Volgo gli sguardi a tergo e un guerrier miro, che, di scettro ornato, lunato mostro a fiera pugna sfida. Elmo non ha né usbergo, de le schiere minori incontro il fato, regge col senno e con l’esempio affida. Terribil veglio lo consiglia e guida, si ch’or il braccio, or squarcia al mostro il seno. Quindi uscio dal terreno de’ suoi sudor coperto e d’altrui sangue mortifer angue, che in un piede il morse: svani il guerrier, rimase il mondo in forse. Stanco di tanto orrore, a terra caddi come corpo morto, pensando, ahi lasso! a la miseria nostra; quando un vivo splendore, che da l’Arno parca ne l’aria sorto, tragge il mio sguardo ver’ l’eterea chiostra e qual fulgida aurora a me si mostra; ed a sua destra un sol cinto di stelle, e, ridente tra quelle, il Dritto, la Pietá, l’Amor del vero, che per sentiero di beata luce diademi e trofei seco conduce. Allor, com’uom riscosso da grave sonno, a piú raggiante sfera sentii ratto levarmi il pensier mio. E il guerriero, il colosso, l’augello, il fiume, l’arbore, la fiera nel fraterno astro riprodur vid’io. Né simil canto mai, né mai s’udio si soave armonia per senso umano : e, se labbro profano ridir potesse quegli arcani detti, tutti intelletti infiammerei di zelo e ben parrebbe lor d’essere in cielo. — Benedetto — s’udia coro iterar di luminosi spirti —