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dove, al pari che dagli accademici della Crusca, ebbero dall’Arcadia quelle lodi che pur meritavano, e che dal chiarissimo abate Godard, custode del bosco Parrasio, furono nell’edizione romana, con sommo giudizio, celebrate come un modello del bel dire e della felice fantasia dell’autore.

Troppo lunga cosa sarebbe il dirvi come fu accolto e onorato dagli accademici della Crusca, quando comparve in Firenze; come gareggiarono i piú colti editori di pubblicare co’ loro torchi le sue belle opere; come Andrea Zabarella principe lo dichiara di tutti quegli stranieri che in toscano verso mai scrissero, con una bella e leggiadra canzone che incomincia cosí: Te, del Tamigi in sulle sponde amiche, piú ch’altri mai lattar l’itale muse; opinione che s’accorda perfettamente con quella del giá mentovato abate Godard, che al di sopra lo pone non solo di Milton, ma fin di Menagio e di Regnier, i cui nomi suonano con molto applauso sul nostro per gli stranieri malagevolissimo Parnasso. Dopo le testimonianze onorevoli di tanti dotti italiani, chi ardirá non prestar fede a’ giudizi di tanto conoscitore? chi non dirá con me, come giá dicevasi d’Aristotile : Malkias dixir? Udiamo adesso, signori, quel ch’egli scrive in una sua lettera agli eruditi e colti inglesi, e ch’io con pari zelo ed affetto ridico a voi.

Dilettissimi inglesi, voi, che siete nati ad ammirare e gustare la vera poesia, lasciate un poco le verdeggianti rive dell’bisso, e meco in sulle rive del Tamigi accompagnate il laureato e trionfante progresso dei maestri geni d’Italia. L’Europa letteraria [e perché no l’America?] se vuol esser giusta e grata, non sará mai invidiosa della gloria italiana, ma piuttosto riconoscerá ne’ suoi scrittori i suoi maestri al rinascimento delle scienze e delle lettere. Non voglio oltrepassare i termini prescritti alle lodi cosí dovute alla terra madre d’eroi, di poeti e d’oratori. Ma voi, che nel corso della vostra letteraria fortuna avete viaggiato sulle tracce de’lumi augusti d’Atene e di Roma, degnatevi d’ammirare