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i censori di varie cittá non vollero permettere la pubblicazione, ma che, presentata al sovrano dal fratello mio, ottenne senza tergiversazione la grazia richiesta f 1 ). Io era nel colmo dell’allegrezza. Tanti però furono gli ostacoli che si levarono, che, dopo lunghi carteggi e preparativi, ed io ed essi cominciavamo a perdere ogni speranza di rivederci. «Prevedo —mi scrisse fin dall’anno 1827 la Giulietta — che, ad onta di tutte le di lei cure, non verremo mai a Nova-Iorca».

Languendo in me questa speranza, un’altra ne sorse relativa alla libreria, che m’incoraggiò a un novello esperimento. Io leggeva un giorno la prefazione d’un volume dell’opere di cui mi aveva fatto dono prezioso il signor Mathias. L’eloquenza e la forza, con cui quel giudizioso scrittore parla de’ pregi della favella e delle lettere italiane, produssero in me un tal effetto, che dissi a me stesso: — Può un uomo, ch’abbia due once di cervello nel capo, leggere le pagine ch’ora io lessi, senza sentir il potere della veritá e senza desiderar di posseder un bene e di goder d’un diletto, che quegli gode e possedè, a cui sono aperti i tesori dell’ italiano Parnasso? — Sulle tracce camminando di quella nobile prefazione, io ebbi tosto il pensiero di scrivere un’orazione e di recitarla il settantanovesimo anniversario della mia vita a un numero scelto d’allievi ed amici, che in quel giorno generalmente solevano onorar la mia casa della loro cortese presenza. Mentre io stava preparando i materiali per tal lavoro, un crudele accidente, che per universal opinione pareva dover costarmi la vita, cangiò la faccia di tutte le cose. La casa, dov’io abitava, non essendo nel centro della cittá, io era stato obbligato, a comodo della mia triplice classe di damigelle, di prendere a pigione una stanza centrale, alla quale io andava a cert’ore stabilite, per dar alla classe maggiore italiana le mie lezioni. Era il diciasettesimo giorno di dicembre, e, la notte stata essendo freddissima e per qualche ora piovosa, una lieve e quasi invisibile incrostatura di ghiaccio avea lastricate le (1) È riportata nell’Appendice prima [Ed.].