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cana), o per mancanza di studio o per forza di pregiudizio (ad eccezione di pochi), o disprezzano intieramente o si compiacciono d’avvilire. L’esempio di questo erculeo propugnatore fu seguitato da molti de’ nostri, da’ quali nel breve corso d’un anno ebbi piú di sessanta volumi d’offerte per la mia libreria. Ma chi si distinse tra tutti, dopo il donatore britanno, e nel valor de’ doni e nella graziosa maniera del farli, fu il colto, erudito ed eccellente letterato triestino, che, sebben l’ultimo in tempo tra’ miei piú rari ed illustri amici, occupa nulladimeno uno de’ primari lochi tra quelli per le pruove infinite di pura benevolenza, di singoiar gentilezza e di liberalitá senza pari, che, senza alcun merito mio e per la sola bontá del suo cuore, a me diede, e che non solo con rara costanza, ma con ardore sempre crescente séguita a darmi. Il dono generoso di tutte le sue opere si in prosa che in verso, opere che lo dichiarano uno de’ piú zelanti cittadini, de’ piú profondi eruditi e de’ piú eleganti scrittori de’ nostri tempi; questo dono, in sé assai prezioso, è un niente in comparazione degli altri suoi meriti verso me: meriti ch’io posso bene pregiar e sentir vivamente c quanto è dovere che un grato animo senta, ma che non potrò mai, per quanto io studi, trovar parole e concetti bastevoli da dipingerli. Permettimi dunque, o caro ed incomparabile amico, che, dopo questa ingenua dichiarazione della mia inabilitá, passi sotto un rispettoso silenzio le cose e i sentimenti che né la mia lingua né la mia penna sarien capaci d’esprimere; e piacciati solo d’assicurarti che né tempo né lontananza potran cancellare dal mio spirito la menoma parte di quella stima, riconoscenza e benevolenza che ti devo; che m’è e mi sará ognor cosa dolce benedirti ed amarti; che perdonerò, anzi perdono a tutti i torti ed a’ mali a me fatti dalla fortuna, pel bene che mi accordò di conoscerti e d’esser amato da te ; e che, nel momento del gran passaggio, l’ultima parola, che uscirá dalle mie labbra, sará il nome adorabile di Rossetti. Torniamo adesso alla libreria, nella quale, come giá dissi, io avevo depositato ottocento volumi de’ nostri classici, che non avrebber costato piú di mille duecento piastre, legati, e che