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perché infallibilmente non avrei avuto un solo studente di quella lingua dopo il prim’anno, giacché alcuno de’ professori era persuaso e volea gli altri persuadere che poco di grande avesse la nostra letteratura (di cui per altro non molto si conosceva), e che in tutte le scienze e le arti superiori ci fossero gli alemanni. Non è questo il loco da dir piú di ciò: la sentenza però meriterá a suo tempo qualche riflessione. Stando dunque le cose in tal modo, e desideroso a ogni via di ridurre a effetto il disegno mio, mi parve di poter ottenere dagli altri amici ed allievi miei quello che non piú sperava dal Collegio. Depositai quindi ottocento volumi classici nella pubblica libreria, e pubblicai questi pochi versi: A’ MIEI CARISSIMI ALLIEVI, PER ECCITARLI ALLO STABILIMENTO d’UNA PUBBLICA ITALIANA LIBRERIA Sulla prora del ricco naviglio salvo in porto e felice tornando, obbliando fatica e periglio, posa trova il tranquillo nocchier. Ed il brando di sangue ancor tinto appendendo all’altare di pace, su’ trofei del nemico giá vinto s’addormenta l’antico guerrier. Io, che primo coll’onde dell’Arno non indarno inaffiai queste rive, ove udir d’ Elicona le dive armonia che non pria si senti, e che sparsi onorati sudori sulle zolle del vostro terreno, onde sorgono rose ed allori ove tronchi sorgevano un di; se vi chiedo pel dorso giá curvo sotto il peso e le cure degli anni, se vi chiedo un ristoro agli affanni e una tarda ma dolce mercé,