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pruova novella di generositá e di amicizia. Il conte Coronini volle ch’io traducessi in verso italiano la menzionata operetta de’ Fasti goriziani , e ne fui generosamente premiato.

Passai otto mesi in questo commodo e tranquillo stato di vita. U ta sola cosa ne amareggiava in parte la sua dolcezza, e questa era il pensiero d’essere stato si male trattato, senza la minima ragione, da una patria, ch’io amava e al cui bene reale adoperavano. Io non poteva inoltre evitar di sentire in me un certo desiderio di ritornarvi, per riveder i parenti ed amici miei, e sopra tutti Zaguri, Nlemmo e Pisani. Passò frattanto per Gorizia il mio caro amico Catarino Mazzola, per andar a Dresda, dove era stato invitato a poeta pel teatro dell’opera. Venne a trovarmi, e mi narrò la tremenda catastrofe del Pisani, il quale, dopo esser stato fatto procuratore di San Marco, ch’era uno de’ piú sublimi gradi di quella repubblica, fu preso di notte tempo nella sua propria casa, per ordine degli inquisitori di Stato, e relegato nel castello di Verona. Piangendo allora sul destino del mio amico, deposi ogni speranza di tornar a Venezia, e pregai Mazzola di trovarmi, s’era possibile, qualche impiego alla corte di Dresda. Mazzola mel promise e mi diede molte speranze di buon successo, contando molto sul favore del conte Marcolini, allora primo ministro di quell’elettore, di cui godeva l’amico mio la protezione e la stima.

Capitò intanto in Gorizia una buona compagnia comica. Voleano gli amici e fautori miei ch’io componessi un dramma ed una tragedia per quella; ma, non avendo mai scritto pria pel teatro, non osai cimentarmi, per téma di perdere col coturno quello ch’aveva acquistato col colascione. Ho dovuto tuttavia, ad istanza di nobil matrona, condiscendere di fare la traduzione d una tragedia tedesca, che non si recitò che due sere, non so se per difetto dell’originale o mio. Per rimediar un poco a questa caduta, diedi alla medesima compagnia II conte di Warwick , tragedia francese, tradotta parte dal mio fratello e parte da me; e questa piacque assai piú.

Continuavano intanto i signori goriziani a onorarmi ed amarmi, ed io continuava a far versi, che erano sempre ben