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Morosini per declamar contra me. E, vedendo o credendo vedere disposti gli animi a secondarlo, lesse con voce stentorea un’elegia latina, che poco doveva intendersi da quegli eccellentissimi Pantaloni, ma che, declamata con enfasi tra una folla d’invettive e sarcasmi, servi maravigliosamente a infiammar contra me que’ perrucconi irritabili. L’americano in Europa era il titolo dell’elegia. Ergo ego semotae tactus telluris amore, ecc.

Terminata la lettura di questi versi latini, di cui il serenissimo senato veneto Molto udí, poco intese e nulla seppe, recitò lo scaltro zoppo un sermone, che, per essere in italiano, dovette parergli piú intelligibile. L’argomento di quel sermone era questo: L’uom, per natura libero, per le leggi divenne servo. Non si potrebbe imaginare il tumulto insorto nell’assemblea alla lettura di quel poetico scherzo, non per altro da me composto (come pure tutte l’altre composizioni di quello scolastico intrattenimento) che per esercitare nell’arte declamatoria un certo numero di quegli alunni, lo ne aveva fatta la confutazione nella proposizione opposta, che aveva per fondamento il noto adagio di Cicerone : «Servi legum facli sumus, ut liberi esse possemus» ; ma il mio accusatore non si prese la briga di leggerla.

— Eccellentissimi signori — gridava altamente l’iniquo oratore, — udite con attenzione le scandalose massime di questo giovine, e giudicate poi di quel che si potrebbe rispondere. — E qui ripeteva alcuni passaggi di quella poesia, tra gli altri il seguente, che fu sopra tutti gli altri disapprovato e fischiato: Suddito e servo per error de’ mortali, appena io sento de’ ferri il peso, che suonar da lunge ode il sano di mente ; io di censore o di console irato i fasci e il ciglio minaccioso non temo; io d’un sol guardo