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fui tanto cieco d’accontentarla. Questa compiacenza però mi costò assai cara. Una nobilissima clama veneta scelto m’aveva ad institutore di due giovanetti figli. Ella mi pagava con generositá e mi trattava con amicizia. Lo stato, in cui era, m’impedi qualche tempo d’andar da lei: il chedi mal animo ella soffrendo, venne a trovarmi personalmente, e, come accorta era e perspicacissima, vide la gente con cui io viveva, e un giorno dopo mi congedò. La perdita di questo impiego fummi, e per l’onore e per l’interesse, fatale. La gelosia di quella donna era divenuta eccessiva. Io non usciva di casa, se non con lei, in tempo di notte. Andavamo ai teatri, agli spettacoli, a cene di societá, spendendo mollissimo e non guadagnando piú nulla. In questa guisa diminuivansi le nostre non grandi ricchezze, e la fortuna del gioco ci aveva voltate le spalle. Anche il di lei fratello ricominciava a mungere la mia borsa e ad intorbidar la mia pace. Una sera, avend’egli perduto tutto il danaro, entrò minacciante nella mia stanza e mi domandò armata manu cento zecchini.

Assicuratolo ch’io non possedeva tal somma: — Fatela — mi rispose: — io so bene, messer Lorenzo, che voi sapete far l’oro; onde pretendo, e credo poter pretendere, che voi m’insegniate il secreto. — Per ammansare quell’orso, fui costretto dargli tutto il danaro che aveva e promettergli che in quattro o sei giorni gli avrei dato il rimanente de’ cento zecchini. Cominciai però allora ad aprire gli occhi e a vedere il pericolo, in cui era, di ruinar per sempre la riputazione della mia vita civile. Il saggio e amoroso fratello mio, con cui non so s’era piu legato co’vincoli dell’amicizia o con quelli della natura, tentò spesso scuotermi dal mio letargo; ma io era troppo vivamente combattuto dalle due forti passioni del gioco e deH’amore, e, quantunque vedessi il male che sovrastavamo pur non aveva lorza di liberarmene.

Un bizzarro accidente operò alla fine in me quel che né i fraterni consigli né mille danni o pericoli in tre anni intieri operarono. Un prete friulano, che stato era mio condiscepolo nel seminario di Portogruaro e che frequentava famigliarmente la casa mia, venne una sera a trovarmi. Egli solea ciò fare