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fini: verso la metri di quello tutto quell’oro era ito. Depose allora con maravigliosa freddezza le carte, mi guardò, sogghignò, scosse la testa, e, pigliando la sorella per mano, mi diede la buona notte e parti Non occorre dire com’io rimanessi. Mi ritirai nella camera de’ sospiri (cosi detta era una certa stanza, dove solevano passeggiare gli amanti o i giocatori sventurati, per conversare, sospirare o dormire). Dopo qualche tempo mi addormentai.

Non mi svegliai che a giorno chiaro, quando tutta la compagnia era partita, eccettuati alcuni pochi, che come me s’erano addormentati. Un uom mascherato, che mi sedeva vicino, vedendomi svegliato, mi chiese due soldi. Dopo avermi frugolate invano le tasche, misi la mano nel borsellino laterale dell’abito; e qual fu la sorpresa e la gioia mia nel trovarvi alcuni zecchini, che, stretti e coperti essendo da un fazzoletto, non m’accorsi d’averveli, e non li trassi con gli altri, che dalle tasche cavai, quando arrivò a casa il mio Eccellenza carnefice. Durai fatica a celare la mia lieta confusione. Non avendo perciò altra moneta, offersi al mio vicino un di que’ zecchini. Lo rifiutò sulle prime; ma poi, fissamente guardandomi: — Lo accetto — diss’egli, — ma con patto che mi accordiate di restituirvelo in casa mia. — Prese, cosi dicendo, una carta da gioco e sul rovescio vi scrisse la strada e il numero della sua abitazione, assicurandomi, nell’atto di rimettermi quella carta, che non mi spiacerebbe poi d’avergli fatto una visita. Ma io, che aveva allora la mente piena del danaro salvato, e piú dell’amica mia, posi in tasca la carta senza curarmene c corsi a casa di volo. Stava essa alla finestra, aspettandomi. Mi fece cenno di non picchiare ; discese sul fatto, apri l’uscio, mi s’afTacciò, e, senza lasciarmi dire parola: — Andate — disse — al caffè vicino, e non venite se non mando per voi. — Serrò l’uscio e tornò alla finestra.

Io non sapeva che pensare. Andai al caffè: dopo aver due ore aspettato, enirò il servo, mi fece motto di uscire e di seguirlo.