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So da gran tempo che avete impreso a far l’edizione de’ miei Animali parlatili , e son sicuro che la farete egualmente bella. Mi han detto che pensate di farvi alcuni cangiamenti, sostituendo altre espressioni a quelle che credete non poter costi riuscire troppo gradite, quasi contrarie alla modestia del linguaggio inglese. In veritá si approva e si loda la ritenuta delicatezza di cotesto linguaggio; ma, quando si scrive in altro linguaggio, se un autore si conforma talvolta a certe frasi usate dai suoi classici, non mi pare che uno straniero debba scandalizzarsene. E in fatti è stato piú volte stampato costi l’Ariosto, e, nonostante che non abbia scrupolo di dire apertamente «p.», lo che non ho io mai fatto ne’ miei Animali parlanti , non solo si è stampato, ma ha avtito costi un grande spaccio. Lo stesso dite del Dante che nomina «c...» in una maniera molto meno decente della mia ; perché finalmente io non nomino «c...» che in certe espressioni proverbiali e che escludono qualunque indecenza, e d’Ariosti e di Danti e d’altri molto meno contegnosi autori è piena l’Inghilterra. Che se si volesse dai lettori inglesi stare rigorosamente a questa ritrosia, non dovrebbero leggere autori greci e latini, perché nelle loro lingue le cose si nominano coi vocaboli loro. Che se riguardarsi soglia la maggior facilitá dello spaccio, voj sapete in quanto maggior pregio si abbia l’originale genuina lezione d’un’opera, in preferenza delle altre con alterazioni e correzioni, per quanto migliori esse esser possano dell’originale. Se, ciò non ostante, si fosse creduto indispensabile di cangiare delle espressioni che tutti i classici usano, e perché non scrivermelo francamente? Io non avrei avuta difficoltá alcuna di cangiar quelle parole che voi m’aveste indicate, acciò l’opera non possa esser tacciata d’un impasto di piú mani. E, se sopra tutto crediate potervi recar profitto, io, che vi ho amato sempre, vi servirò volentieri. Pur anche gran tempo un romor sordo è pervenuto agli orecchi miei, che voi pensiate di pubblicare le interpretazioni e allusioni personali, che voi, o chiunque sia, s’imagini di trovarvi. Tanto è lontano che io v’abbia creduto capace d’una si infame idea, che non ho voluto mai scrivervene neppure una parola, persuaso di poter vivere tranquillo sul conto vostro a questo riguardo. Come è possibile che io possa indurmi a credere tal cosa, io che sempre ho avuta della considerazione per voi, che vi ho sempre voluto bene, che ho procurato di giovarvi se ho potuto, che v’ho tenuto sempre per mio amico, e che so che lo siete, e in conseguenza incapacissimo di farmi un